La prima ingiunzione italiana in materia di NFT in violazione di marchi notori di terzi: soluzioni e nuovi problemi concreti

La prima ingiunzione italiana in materia di NFT in violazione di marchi notori di terzi: soluzioni e nuovi problemi concreti
In un contesto storico in cui si respira la “corsa agli armamenti” anche sotto il profilo della creazione di NFT per il miglior sfruttamento digitale dei propri marchi, desta certamente molta attenzione una piuttosto recente decisione del Tribunale di Roma nell’ambito di un giudizio cautelare che ha assegnato la vittoria alla società Juventus Football Club s.p.a. a scapito di una società minore che aveva deciso di produrre contenuti digitali sotto forma di NFT raffiguranti famosi atleti e calciatori, tra cui il Sig. Christian Vieri raffigurato in diverse fasi di gioco con indosso la maglietta della Juventus.

Il Tribunale ha riconosciuto la notorietà dei marchi Juventus, nonché il loro diritto ad essere tutelati anche per via della loro registrazione in Classe 9 della classificazione di Nizza, riscontrando il periculum in mora principalmente nel fatto che tali NFT continuavano ad essere rivenduti sui vari marketplace e sulla non agevole quantificazione futura del danno. Pertanto, oltre ad inibire l’ulteriore produzione e commercializzazione dei beni immateriali sopra menzionati, è stato ordinato alla società soccombente di ritirare dal commercio e rimuovere da ogni sito internet tali prodotti e i contenuti digitali ad essi associati, con il rischio, in caso di ritardo nell’adempimento, di subire una penale di euro 500,00 al giorno o per singola ulteriore violazione.

Ma come far sparire dal mercato prodotti digitali quali gli NFT che per loro natura e correlazione con la blockchain appaiono essere ineliminabili e virali nella trasmissione da un account ad un altro di cui spesso si conosce solo il nome di fantasia associato al wallet?

Il fumus boni iuris

Come noto, per ottenere un provvedimento cautelare è necessario dimostrare la sussistenza del c.d. “fumus boni iuris, ovvero l’apparenza prima facie della titolarità dei diritti oggetto della domanda, e del c.d. “periculum in mora”, ossia il rischio di subire un danno di difficile quantificazione in attesa della futura decisione nel merito della causa. Nel caso di specie, stando anche alla documentazione allegata, il Tribunale ha riconosciuto la titolarità e notorietà dei marchi azionati, ovvero i due marchi denominativi “Juve” e “Juventus” presenti anche nella descrizione degli NFT commerciati ed il marchio figurativo rappresentante la maglietta a strisce verticali bianche e nere con due stelle sulla parte frontale, presente nelle immagini codificate dagli NFT oggetto di causa.

La notorietà del marchio è un elemento di grande valore specialmente nell’ottica delle contraffazioni su supporti digitali poiché, per il principio della protezione ultra merceologica, la tutela della proprietà intellettuale viene estesa ai prodotti recanti il marchio rinomato, sebbene quest’ultimo non sia registrato anche per la specifica classe della classificazione di Nizza ricomprende tali beni. L’importanza del principio si coglie poiché fino a pochi mesi fa sussistevano dubbi in merito alla corretta classificazione degli NFT.

Recentemente però, molti dubbi sono stati chiariti in merito, essendo stati inseriti all’interno della Classe 9 della dodicesima edizione della Classificazione di Nizza, che entrerà in vigore per le registrazioni di marchi a partire dal 1 gennaio 2023, anche i beni denominati “downloadable digital files authenticated by non-fungible tokens [NFTs]” e “downloadable e-wallets”. Pertanto, chi non possiede un marchio che gode di notorietà ed è interessato all’uso legittimo del proprio marchio nel mataverso e nel mondo degli NFT dovrebbe provvedere alla sua registrazione in Classe 9. Nel caso che qui si commenta, oltre alla notorietà, il marchio risultava altresì registrato in Classe 9 per le pubblicazioni elettroniche scaricabili. Inoltre, la società Juventus, aveva già provveduto ad inserirsi nel settore della blockchain e degli NFT, partecipando alla creazione di appositi videogiochi online facenti uso di tali tecnologie, e potendosi quindi riscontrare anche un rischio confusorio a danno del pubblico tra i prodotti messi a disposizione dalle due società avversarie.

Il periculum in mora

L’esistenza di un danno di difficile quantificazione e riparabilità è stata riconosciuta dal Tribunale nonostante la società soccombente avesse interrotto la produzione e il commercio degli NFT fin dall’inizio del giudizio, per diversi ordini di ragioni. In primis, la soccombente risultava aver stipulato un contratto di sfruttamento dei diritti di immagine del calciatore menzionato fino al marzo del 2024, ma non accordi con la Juventus direttamente. In secundis, sul mercato secondario gli NFT continuavano ad essere scambiati e rivenduti da diversi acquirenti e, per la strutturazione dello smart contract sottostante tali NFT, ad ogni scambio la società in contraffazione riceveva una percentuale di guadagno.

Risultava quindi necessario concedere il provvedimento cautelare al fine di evitare il possibile rischio di volgarizzazione del marchio e di un suo illecito sfruttamento.

Problemi concreti di attuazione dell’ordine inibitorio

Se sull’inibizione all’uso, produzione, commercializzazione e promozione in qualsiasi modo o forma degli NFT e dei loro contenuti digitali nulla quaestio – si noti che correttamente il Giudicante ha diviso NFT, ovvero il codice crittografico registrato sulla blockchain, dal suo contenuto digitale, ossia l’immagine rappresentata – numerose domande sorgono in merito all’attuazione concreta dell’ordine di ritiro dal commercio e di rimozione “da ogni sito internet e/o da ogni pagina di sito internet direttamente e/o indirettamente controllati dalla stessa su cui tali prodotti sono offerti in vendita e/o pubblicizzati”.

Difatti un NFT, non è come un oggetto presente in una fiera commerciale che può essere facilmente oggetto di sequestro dalla Guardia di Finanza, ma una volta “mintato, ovvero creato e inserito all’interno della blockchain, è trasferibile ma non concretamente eliminabile dal reticolo interconnesso tipico di questa struttura tecnologica. Solo di recente alcune piattaforme di marketplace di NFT hanno iniziato a collaborare non per la distruzione degli NFT illeciti, impossibile anche a loro, ma con la “cancellazione” o comunque la disabilitazione all’accesso al pubblico alle proprie pagine internet che rappresentano il contenuto digitale degli NFT contestati. Ma nulla impedisce ai proprietari dei “portafogli di NFT”, meglio noti come wallet di trasferire il proprio NFT su un'altra piattaforma o di ricaricarlo, sempre che non intervenga un auspicato meccanismo di notice and stay down della medesima piattaforma che aveva già provveduto alla prima disabilitazione.

Inoltre, non è chiaro se il riferimento al controllo diretto e/o indiretto del sito ospitante l’NFT o il contenuto digitale possa estendersi per l’appunto agli account che già hanno comprato almeno un NFT in contraffazione e che lo rimettano in vendita, dal momento che quella pagina della piattaforma di marketplace non sembra più essere in correlazione con il creatore originario dell’NFT.

Forse, alcune soluzioni concretamente prospettabili per una riduzione del danno tendente alla sua eliminazione, sarebbero il riacquisto di tutti gli NFT da parte della soccombente – potendo la soccombente ricostruire i passaggi di proprietà – seguito da disabilitazione, nonché, nel caso in cui ciò non funzionasse, la richiesta, mediante apposita procedura interna o diffida alle varie piattaforme di marketplace coinvolte, di disabilitazione all’accesso del contenuto e dell’NFT, giustificato da un messaggio che ne illustri brevemente le ragioni in presenza di un ordine cautelare dell’Autorità Giudiziaria.

Ai posteri le migliori valutazioni, consapevoli che le controversie in tema sono solo agli inizi.

Avv. Chiara Arena

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