Avv. Francesca Frezza
Nel caso in cui il licenziamento viene dichiarato illegittimo l’indennità sostitutiva della reintegra non è dovuta se risulta impossibile la tutela reintegratoria per fatto non imputabile al datore di lavoro.
Un lavoratore, licenziato per superamento del periodo di comporto, aveva adito il Tribunale locale per vedersi accertare l’illegittimità del provvedimento espulsivo e il risarcimento del danno. Il Tribunale, all’esito del giudizio, aveva condannato il datore di lavoro a pagare l'indennità sostitutiva della reintegrazione pari a 15 mensilità, oltre alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino al pagamento dell'indennità sostitutiva, oltre il danno biologico rivendicato. Avverso tale pronuncia proponeva appello il datore di lavoro e la Corte territoriale aveva riformato la sentenza e dichiarato non dovuta l'indennità sostitutiva della reintegra, ritenuta impossibile per totale inabilità lavorativa.
Ricorrevano in cassazione gli eredi del lavoratore contestando la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui avrebbe erroneamente calcolato la misura del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo e non avrebbe riconosciuto il diritto del dante causa all'indennità sostitutiva della reintegra.
In sostanza, i ricorrenti si dolevano che la sentenza impugnata aveva limitato il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo alla data della maturazione del diritto del dante causa al pensionamento, non estendendola alla data dell'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegra richiesta sin dal ricorso di primo grado.
La Corte di Cassazione con ordinanza n. 10721 del 17 aprile 2019, pur ritenendo teoricamente fondato il motivo, posto che la sola maturazione del diritto a pensione ed anche la sola domanda di pensione, non estingue affatto il rapporto di lavoro sin quando non vi sia un atto (licenziamento, dimissioni o pensionamento) idoneo a risolverlo, ha affermato che, tuttavia, la sentenza impugnata aveva accertato che dal novembre 2003 il dipendente (oltre ad essere totalmente inabile) era andato effettivamente in pensione, non essendo così più possibile la reintegra né il pagamento dell'indennità sostitutiva. Né poteva ritenersi, prosegue la Suprema Corte, che la sentenza di reintegra (del 2009) poteva aver travolto, nonostante la sua natura dichiarativa con effetto ex tunc, fatti estranei al rapporto di lavoro, quale il pensionamento del dipendente.
La Corte, nel rigettare il ricorso, richiamava il principio espresso da una precedente pronuncia (Cassazione n. 14426\2000) per la quale: “L'obbligazione del datore di lavoro alla indennità pari a quindici mensilità di retribuzione di cui all'articolo 18, comma quinto legge n.300 del 1970 si qualifica come obbligazione con facoltà alternativa, oggetto della quale è la reintegra nel posto di lavoro, la cui attualità è presupposto necessario della facoltà di scelta del lavoratore; ne consegue che in tutti i casi in cui l'obbligazione reintegratoria sia divenuta impossibile per causa non imputabile al datore di lavoro, non è dovuta neanche l'indennità sostitutiva”.
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