Il diritto applicabile alle domande accessorie ad un’azione per contraffazione di marchi o modelli comunitari

Il diritto applicabile alle domande accessorie ad un’azione per contraffazione di marchi o modelli comunitari
La Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata in merito al diritto applicabile, alla luce della normativa comunitaria e del diritto internazionale privati, alle domande accessorie ad un’azione per atti di contraffazione di modelli o disegni comunitari commessi o che si minaccia di commettere all’interno del territorio di un solo Stato membro.
La vicenda processuale

La controversia vede contrapposte una società tedesca produttrice di automobili ed una società italiana che fabbrica e vende cerchioni per ruote d’automobile, alla quale veniva contestata l’attività di contraffazione di disegno e modello comunitario registrato di titolarità dell’azienda con sede in Germania. Oltre a richiedere l’accertamento della contraffazione e la conseguente interruzione delle vendite dei beni nel mercato tedesco, l’attrice proponeva altresì alcune domande “accessorie” quali il risarcimento dei danni, la trasmissione di informazioni, documenti e conti nonché la consegna della merce contraffatta al fine della distruzione della stessa.

La questione sollevata davanti alla Corte Europea verteva proprio sulla determinazione del diritto applicabile a tali domande accessorie, ovvero se gli artt. 88, par. 2 e 89, par. 1, lett. d) del Regolamento Europeo n. 6/2002 (“Su disegni e modelli comunitari”) debbano essere interpretati nel senso che i tribunali competenti per disegni e modelli investiti per un’azione di contraffazione riguardante atti commessi nel territorio di un solo Stato membro debbano esaminare tali domande accessorie sul fondamento del diritto dello Stato membro in cui tali Tribunali hanno sede.

La Corte osserva come, alla luce del combinato disposto degli artt. 88, par. 2 e 89, par. 1 lett d) e nei limiti in cui il diritto dello Stato membro interessato contenga norme di diritto internazionale privato, queste ultime risultano “parte integrante del diritto applicabile”. Tra siffatte norme, nel diritto tedesco, figurano quelle contenute nel Regolamento europeo n. 864/2007 (c.d. Regolamento “Roma II”) il quale, all’art. 8, par. 2, prevede che in caso di obbligazione extracontrattuale derivante da una violazione di diritti di proprietà intellettuale dell’Unione, la legge applicabile (per le questioni non altrimenti disciplinate da altri strumenti dell’Unione) è “quella del paese in cui è stata commessa la violazione.

Il Giudice europeo prosegue specificando cosa debba intendersi con la locuzione suddetta, precisando che per “legge del paese in cui è stata commessa la violazione” si debba intendere la legge del solo paese sul cui territorio il titolare fa valere il disegno o il modello comunitario registrato, anche nel caso in cui non si possa escludere che il disegno o il modello sia stato parimenti leso anche in altri Stati membri o paesi terzi.

Il principio di diritto enunciato dalla CGUE

Alla luce di quanto sopra, la Corte europea si è pertanto pronunciata dichiarando che gli art. 88, par. 2 e 89, par. 1, lett. d) del Reg. CE n. 6/2002 sul diritto applicabile alle azioni di contraffazione comunitarie e quanto stabilito dal Reg. Roma II, art. 8, par. 2, debbano essere interpretati nel senso che “i tribunali dei disegni e modelli comunitari investiti di un’azione per contraffazione ai sensi dell’art. 82, par. 5, Reg. n. 6/2002 riguardanti atti di contraffazione commessi […] nel territorio di un solo Stato membro, devono esaminare le domande accessorie a tale azione sulla base del diritto dello Stato membro nel cui territorio tali atti recano pregiudizio al disegno o modello comunitario” il che, sostanzialmente, coincide con il diritto dello Stato membro in cui i tribunali in parola sono situati.

Sull’istanza di riapertura della fase orale del procedimento

In conclusione, una nota squisitamente procedurale.

La società tedesca, all’esito delle conclusioni dell’Avvocato Generale, aveva presentato osservazioni su queste ultime unitamente all’istanza di riapertura della fase orale del procedimento, lamentando un’analisi erronea della fattispecie da parte dell’Avvocato Generale nonché il fatto che lo stesso non avesse tenuto sufficientemente in conto taluni elementi fattuali presentati dalle parti.

La Corte ha affermato, rigettando l’istanza avanzata, da un lato di disporre di tutti gli elementi necessari alla decisione, dall’altro che “le conclusioni dell’Avvocato Generale non possono essere discusse dalle parti […] il ruolo dell’Avvocato Generale consiste nel presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause […] al fine di assisterla (la Corte di Giustizia, ndr) nell’adempimento della sua missione […] le conclusioni dell’Avvocato Generale pongono fine alla fase orale del procedimento” e “aprono la fase della deliberazione della Corte”.

Avv. Sara Maria Mucchietto

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