La Corte di Cassazione, con ordinanza 16 aprile 2018, n. 9385, è tornata a ribadire come il danno non patrimoniale da lesione della reputazione, alla stregua degli altri danni da lesione di diritti fondamentali, sia un tipico danno-conseguenza e, perciò, non coincide con la lesione dell’interesse (ovvero, non sussiste in re ipsa); deve, pertanto, essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, inoltre, ove si tratti di un pregiudizio proiettato nel futuro, la prova può essere fornita con il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base di elementi obiettivi, che è però onere del danneggiato fornire.
Questo indirizzo giurisprudenziale, del resto, segue l’autorevole orientamento proposto dalle stesse Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali hanno da tempo chiarito come sia da respingere l’affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.
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