Il contratto di lavoro a tempo determinato

Il contratto di lavoro a tempo determinato
Il contratto di lavoro a termine è un tipo di contratto di lavoro subordinato che si caratterizza per l’apposizione di un termine di “scadenza”, decorso il quale il rapporto di lavoro giunge a conclusione. Per tale motivo l’apposizione del termine deve risultare da atto scritto e la lettera di assunzione deve essere sottoscritta dal lavoratore.

Tale tipologia contrattuale è stata interessata da molteplici progetti di riforma che hanno inciso, in particolar modo, sulla durata del termine onde evitare una sua indebita utilizzazione e al fine di contrastare il cd “precariato stabile”.

Il contratto di lavoro a termine può essere oggetto di proroga o rinnovo. La proroga consente al datore di lavoro di posticipare la scadenza apposta ad un contratto a tempo determinato in corso. A seguito dell’emanazione del cd “decreto dignità” – legge n. 96 del 9 agosto 2018 – il termine di durata del contratto a tempo determinato non può eccedere i dodici mesi. Il contratto può essere prorogato senza specificare una causale nei primi dodici mesi e decorso tale termine la proroga potrà essere apposta solo in presenza di talune condizioni quali le esigenze temporanee ed oggettive o incrementi temporanei dell’attività ordinaria. In ogni caso la proroga non potrà eccedere i ventiquattro mesi.

Al contrario il rinnovo del contratto consiste nell’attivazione di un nuovo rapporto a tempo determinato con un lavoratore che già è stato impiegato nella medesima attività produttiva con contratto a termine. La durata minima di intervallo tra i rapporti di lavoro a tempo determinato è stabilita per legge: dieci giorni di intervallo tra i due contratti se il rapporto precedente ha avuto una durata pari o inferiore ai sei mesi. Se la durata del contratto è stata superiore ai sei mesi la durata dell’intervallo è fissata a venti giorni.

Regime sanzionatorio per mancata osservanza della disciplina sul contratto a termine

Nel caso in cui il datore di lavoro non osservi le disposizioni sulla contrattazione a termine, il legislatore ha previsto come sanzione quella della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato nonché la corresponsione di un indennizzo. La violazione della forma scritta ab substantiam ai fini dell’apposizione del termine determina per consolidata giurisprudenza la dichiarazione tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Sul punto la recente sentenza n. 576/2020 emessa dalla Corte di appello di Bari afferma che: ““E', pertanto, chiaro che, nel caso di un contratto di lavoro a tempo determinato, la mancata sottoscrizione del contratto anche da parte del lavoratore prima o contestualmente all'inizio del rapporto, non comportando alcuna accettazione della durata limitata del rapporto, determina la configurabilita' di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La mancata stipulazione in forma scritta di un contratto di lavoro a tempo determinato, difatti, comporta che la clausola appositiva del termine deve considerarsi tamquat non esset, con la conseguenza che deve essere dichiarato sussistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.

Anche la mancata osservanza dell’intervallo minimo ex lege previsto rende manifestamente invalido il termine apposto al contratto, con conseguente trasformazione del rapporto. Giova segnalare che il ricorso all’utilizzo del contratto a termine non sempre è determinato da esigenze temporanee ed oggettive o incrementi temporanei dell’attività ordinaria. La sottoscrizione di un contratto a tempo determinato per soddisfare esigenze stabili e durevoli costituisce un abuso che comporta la nullità della clausola imposta ai sensi dell’art. 1.418 c.c.

Il Tribunale di Firenze ha, infatti, con sentenza n. 794/2019 affermato la nullità della successione di contratti a termine perché stipulati per soddisfare esigenze stabili e durevoli, rilevando che l’utilizzo dei rapporti di lavoro a tempo determinato per far fronte ad esigenze non provvisorie, ma permanenti e durevoli, rappresenta una violazione dei principi cardine del diritto del lavoro di matrice europea, recepiti nel nostro ordinamento con la direttiva C.E. 70/99.

Avv. Nicoletta Di Lolli

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