Hosting provider responsabile per i contenuti diffamatori memorizzati da terzi non appena acquisita, in qualunque modo, conoscenza della loro illiceità

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Con ordinanza del 27 giugno 2025, la Corte di Cassazione, terza Sezione Civile, ha cassato con rinvio una pronuncia della Corte d'Appello di Firenze che aveva rigettato la richiesta volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di commenti ingiuriosi pubblicati da alcuni utenti su un "blog" telematico, non tempestivamente rimossi, sul presupposto che l'obbligo di rimozione dei commenti illeciti (diffamatori), per il prestatore di servizi (hosting provider) sussisterebbe solo a seguito di una comunicazione da parte delle autorità competenti in ordine al carattere illecito dei medesimi.

Tale affermazione veniva resa dalla Corte d'Appello di Firenze in consapevole contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in sede penale in casi analoghi (cfr. Cass. pen., Sez. 5, Sentenza n. 12546 dell'8/11/2018 Ud. - dep. 20/03/2019, Rv. 275995-01, secondo cui "in tema di diffamazione, il "blogger" risponde del delitto nella forma aggravata, ai sensi del comma 3 dell'art. 595 c.p., sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità", per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell'altrui reputazione e consente l'ulteriore diffusione dei commenti diffamatori”)

Secondo la Corte d'Appello, il principio di diritto espresso nella suddetta decisione non sarebbe infatti stato condivisibile poiché, nonostante la direttiva europea di cui il decreto legislativo n. 70 del 2003 costituisce recepimento ("Direttiva 2000/31/CE) prevedesse effettivamente una responsabilità del prestatore di servizi per l'omessa rimozione delle informazioni memorizzate di carattere illecito, in base alla mera conoscenza, comunque acquisita, del carattere illecito di esse, la norma interna di recepimento (art. 16 del decreto legislativo n. 70 del 2003) avrebbe un contenuto più limitato, richiedendo che tale conoscenza derivi da una "comunicazione delle autorità competenti" (cd. "conoscenza qualificata").

La Corte d'Appello, inoltre, fondava le sue conclusioni sulla considerazione della natura istantanea dell'illecito penale, che non consentirebbe di affermare la sussistenza di una responsabilità di un soggetto diverso da quello che lo commette, in virtù di fatti successivi al perfezionamento della relativa fattispecie.

Con ordinanza del 27 giugno 2025, la Corte di Cassazione, ha ritenuto tale interpretazione in contrasto non solo con la giurisprudenza penale sopra citata, ma anche con quanto affermato nella giurisprudenza civile di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7708 del 19/03/2019, Rv. 653569-02 e Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 24818 del 18/08/2023, Rv. 668654-01)

Quanto alle considerazioni svolte dalla Corte territoriale sulla natura istantanea dell'illecito, esse non terrebbero adeguatamente conto del fatto “che l'art. 16 del decreto legislativo n. 70 del 2003, alla lettera a), prevede un particolare regime della responsabilità (risarcitoria, quindi meramente civile) del prestatore di servizi per le informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, della cui illiceità abbia consapevolezza, con riguardo alle "azioni risarcitorie": si tratta, quindi, di una fattispecie di imputazione della responsabilità civile che parrebbe prescindere dal concorso nella responsabilità penale del terzo.”

Tenuto conto infine che la regola generale è quella per cui l'internet provider non è tenuto ad effettuare un controllo preventivo sulla liceità delle informazioni e sulle attività svolte dai terzi destinatari del servizio e che la sua responsabilità (risarcitoria) è correlata genericamente alla memorizzazione delle informazioni rese dai suddetti terzi (non al concorso nel reato istantaneo di diffamazione commesso dagli stessi), la Corte di legittimità ha ritenuto più che ragionevole la conclusione per cui tale previsione sia destinata ad operare anche nell'ipotesi in cui i fatti o le circostanze "che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione" divengano noti al prestatore del servizio solo dopo l'avvenuta memorizzazione dell'informazione resa dal terzo.

“E, in tal caso, non potendo essere più impedita la pubblicazione, non resta al prestatore che operarne la rimozione, anche a prescindere dalla comunicazione delle autorità, per evitare la propria responsabilità (quanto meno sul piano risarcitorio).”

Dunque, “l'obbligo di rimozione delle informazioni illecite memorizzate sorge per l'hosting provider nel momento stesso in cui egli, in qualunque modo, acquisisca la conoscenza di fatti o circostanze che rendano tale illiceità manifesta; in quest'ottica, la "comunicazione delle autorità competenti" rappresenta solo una fonte qualificata di acquisizione della predetta conoscenza”.

In conclusione, il punto di equilibrio che emerge dalla normativa europea ed interna secondo l’interpretazione della Corte di Cassazione, è dato dai seguenti principi di diritto: "il prestatore di servizi informatici che assuma il ruolo di hosting provider non attivo va, di regola, esente dalla responsabilità per la pubblicazione delle eventuali informazioni illecite che provengano dai terzi - e, più specificamente, in relazione alla problematica oggetto della presente controversia - per tutti gli eventuali commenti diffamatori inviati dai terzi, ma, una volta che egli acquisisca la consapevolezza della manifesta illiceità degli stessi (in qualunque modo, anche non necessariamente a seguito di una comunicazione delle autorità competenti, sebbene, in tale ultimo caso, possa essere più agevole percepire il carattere "manifesto" dell'illiceità), è tenuto ad attivarsi per rimuoverli tempestivamente, per continuare a godere dell'esenzione dalla indicata responsabilità".

Avv. Ginevra Proia

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