Facebook e i messaggi di incitamento all’odio: il caso “Forza Nuova”

Facebook e i messaggi di incitamento all’odio: il caso “Forza Nuova”

Avv. Vincenzo Colarocco

Con ordinanza n. 64894/2019, il Tribunale di Roma si è espresso nel procedimento cautelare promosso contro Facebook dagli amministratori di numerose pagine riconducibili alle diverse articolazioni territoriali e non dell’organizzazione “Forza Nuova”.

I ricorrenti lamentavano l’illiceità della condotta di Facebook, reo di aver rimosso le pagine da loro amministrate, in quanto lesiva del diritto fondamentale alla libera manifestazione del pensiero, chiedendo il ripristino di tutti i loro profili e di tutte le pagine da loro amministrate.

Dal canto suo, Facebook risolveva il contratto e interrompeva la fornitura dei propri servizi sul presupposto che le pagine fossero contrarie agli Standard della Comunità, trattandosi di pagine finalizzate alla propaganda ed al proselitismo in favore di Forza Nuova, i cui contenuti contenevano simboli razzisti e fascisti e avrebbero incitato all’odio e alla discriminazione, violando così le clausole contrattuali e le regole della Community che mirano a contenere gli effetti disgreganti e violenti della diffusione di tali messaggi.

Il Giudice, Dott.ssa Albano, ritenuto che le pagine amministrate, oltre che contrarie alle condizioni contrattuali, dovessero ritenersi illecite in base al complesso sistema normativo e giurisprudenziale avente ad oggetto la materia del diritto alla libera manifestazione del pensiero e dei suoi limiti, in particolare in relazione ai messaggi di incitamento all’odio e alla discriminazione, ha ritenuto giustificata la rimozione degli account utilizzati per la propaganda e ha così rigettato il ricorso. Secondo il Tribunale “Facebook non solo poteva risolvere il contratto grazie alle clausole contrattuali accettate al momento della sua conclusione, ma aveva il dovere legale di rimuovere i contenuti, una volta venutone a conoscenza, rischiando altrimenti di incorrere in responsabilità (si veda la sentenza della CGUE sopra citata e la direttiva CE in materia), dovere imposto anche dal codice di condotta sottoscritto con la Commissione Europea”.

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