Avv. Vincenzo Colarocco
Il direttore di un supermercato spagnolo decide di far installare alcune telecamere nascoste, senza preavvisare i propri dipendenti, a causa d’ingenti furti subiti ai danni del proprio supermercato. In particolare, erano state rilevate alcune irregolarità tra stock di magazzino e vendite e una rilevante perdita negli incassi nell’arco di cinque mesi.
Come previsto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, anche per il diritto spagnolo il datore di lavoro deve preventivamente informare i dipendenti della sussistenza di impianti audiovisivi sui luoghi di lavoro, negando, con ciò, l’ammissibilità della c.d. videosorveglianza occulta dei lavoratori.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata a decidere sulle conclusioni dei tribunali nazionali, che avevano ritenuto legittimi i licenziamenti disposti dal datore di lavoro considerato che le videoriprese avevano dato evidenza che i furti erano stati perpetrati da parte del personale, ha riconosciuto, seppur entro determinati limiti, la liceità, dell’uso di telecamere nascoste nei luoghi di lavoro senza previa informazione dei dipendenti (sentenza del 17 ottobre 2019 nel caso López Ribalda ed altri v. Spagna). In particolare, ad avviso dei Giudici della Corte, la mancata informazione della sorveglianza, nonostante sia prevista dalle norme interne iberiche, è da ritenersi giustificata dal “ragionevole sospetto” di una grave colpa dei dipendenti rispetto al furto perpetrato in danno della società e dall’entità della perdita economica subita a causa dello stesso (per il caso di specie si trattava di oltre 80.000 euro).
Per la CEDU, il monitoraggio a distanza dei lavoratori è stato ritenuto proporzionato, legittimo ed equamente bilanciato con le ragioni di tutela del patrimonio aziendale del datore di lavoro. L’intrusione nella privacy dei dipendenti, tra l’altro, è stata ritenuta non eccessivamente grave per la sua breve durata (10 giorni), per il numero limitato delle persone messe a conoscenza dei video e per la scarsa estensione dell’area sorvegliata, limitata proprio alla zona casse.
Con riferimento alla sentenza da ultimo citata, si è espresso anche il Garante per la protezione dei dati personali italiano con la dichiarazione del 17 ottobre 2019 specificamente affermando che “la sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo se da una parte giustifica, nel caso di specie, le telecamere nascoste, dall’altra conferma però il principio di proporzionalità come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo. L’installazione di telecamere nascoste sul luogo di lavoro è stata infatti ritenuta ammissibile dalla Corte solo perché, nel caso che le era stato sottoposto, ricorrevano determinati presupposti: vi erano fondati e ragionevoli sospetti di furti commessi dai lavoratori ai danni del patrimonio aziendale, l’area oggetto di ripresa (peraltro aperta al pubblico) era alquanto circoscritta, le videocamere erano state in funzione per un periodo temporale limitato, non era possibile ricorrere a mezzi alternativi e le immagini captate erano state utilizzate soltanto a fini di prova dei furti commessi. La videosorveglianza occulta è, dunque, ammessa solo in quanto extrema ratio, a fronte di “gravi illeciti” e con modalità spaziotemporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore. Non può dunque diventare una prassi ordinaria. Il requisito essenziale perché i controlli sul lavoro, anche quelli difensivi, siano legittimi resta dunque, per la Corte, la loro rigorosa proporzionalità e non eccedenza: capisaldi della disciplina di protezione dati la cui “funzione sociale” si conferma, anche sotto questo profilo, sempre più centrale perché capace di coniugare dignità e iniziativa economica, libertà e tecnica, garanzie e doveri”.
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