Avv. Flaviano Sanzari
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39486 del 3 settembre 2018, si è nuovamente pronunciata in ordine alla possibile ricorrenza dell’illecito diffamatorio, nel caso in cui pervenga ad un Consiglio dell'Ordine degli Avvocati un esposto contenente censure in merito all’operato di un professionista, offensive della reputazione del medesimo.
Nella fattispecie, la Corte d'appello di Roma aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva assolto l'imputato dal reato di cui all'art. 167 d.lgs. 196/2003 e aveva condannato il medesimo, previa derubricazione di originaria accusa di calunnia, per il reato di diffamazione ex art. 595 comma 1 e 2 c.p. per aver “offeso la reputazione ed aver incolpato, sapendolo innocente” un avvocato in un esposto diretto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma “apostrofandolo “sua falsità”, dichiarando ripetutamente che aveva mentito con finalità ingannatorie e aveva istruito centinaia di cause basate sul mendacio e indicandolo come responsabile dei reati di frode processuale e falso ideologico”.
Avverso la decisione d'appello era stato presentato, nell'interesse dell'imputato, ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata era stata censurata sotto vari profili, in particolare in relazione al mancato riconoscimento dell’esercizio del diritto di critica ed alla mancata applicazione della esimente di cui all'art. 598 c.p. secondo cui non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un'Autorità amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo.
La Suprema Corte ha tuttavia rigettato il ricorso e sancito interessanti principi in materia, osservando in primo luogo come il Consiglio dell'Ordine professionale sia un organo collettivo composto da più persone e che, quindi, il requisito della pluralità dei destinatari fosse intrinsecamente soddisfatto dal solo fatto che la missiva fosse stata rivolta a tale organo, circostanza di per sé idonea a raggiungere la sfera di conoscenza di tutti i componenti. Non potendosi poi dubitare della presenza, nell'esposto, di espressioni di per sé gravemente offensive e gratuitamente diffamatorie, “incontinenti e trasmodanti in mera aggressione verbale”, la Cassazione ha altresì escluso l’applicabilità delle esimenti del diritto di critica (nella fattispecie, oggettivamente travalicato), nonché quella prevista dall’art. 598 c.p., affermando che, “se è vero che l'art. 598 c.p. trova applicazione anche nel contraddittorio che si sviluppa dinnanzi ad una autorità amministrativa, è pur sempre necessario che contraddittorio vi sia e che coinvolga l'autore della comunicazione per la quale si invoca la cosiddetta libertas conviciandi. Il soggetto autore della comunicazione deve essere quindi parte del procedimento nel quale è chiamato a tutelare un proprio specifico interesse […]. Colui che presenta un esposto disciplinare ad un Ordine professionale sollecita l'esercizio di una potestà pubblicistica […] e non è legittimato dalla tutela di una sua specifica posizione soggettiva [e] non è contraddittore in seno al procedimento”. L'art. 598 c.p., quindi, non può essere invocato a protezione della posizione di chiunque abbia un qualsivoglia interesse tutelato, anche in forma mediata, con il ricorso all'autorità giudiziaria o amministrativa.
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