Avv. Flaviano Sanzari
La pubblicazione di brani di una conversazione telefonica tratti dagli atti di un procedimento penale può integrare gli estremi della diffamazione. E questo a maggior ragione se il giornalista - con l'uso di virgolette o la collocazione strategica dell'estratto di un'intercettazione all'interno dell'articolo - metta in cattiva luce un soggetto (nel caso di specie, un tenente colonnello). La Cassazione, con la sentenza n. 28500 depositata lo scorso 8 novembre, ha così respinto il ricorso proposto da Rcs Quotidiani Spa, dopo che il giudizio di appello si era concluso con la condanna della medesima Rcs al risarcimento del danno non patrimoniale in favore di un militare, richiamato in un articolo ove si riferiva di un procedimento che faceva capo alla procura di Velletri, avente ad oggetto ipotesi di turbativa d'asta e altri reati, relativi alle procedure di aggiudicazione di appalti nella base di Pratica di Mare. Secondo i Supremi giudici, è stato correttamente applicato il principio di diritto in tema di continenza formale che deve essere alla base dell'attività giornalistica. Il reato di diffamazione – si legge nella sentenza – potrebbe anche non apparire in prima battuta, ma emergere a seguito di un'operazione di lavorazione del pezzo con il sapiente uso del virgolettato o degli eufemismi che comunque stimolano nel lettore un giudizio negativo. Ad aggravare la posizione del giornalista e dell’editore, poi, rilevano anche gli accostamenti suggestionanti, in quanto l'articolo, oltre a narrare il fatto attribuito al soggetto, richiama altri episodi che si riferiscono a soggetti diversi, creando tra il primo e i secondi un collegamento implicito, che induce il lettore a mettere in relazione i suddetti episodi.
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