Report, Rai condannata a risarcire professionista per riprese occulte

Report, Rai condannata a risarcire professionista per riprese occulte
Avv. Flaviano Sanzari La Corte di Cassazione civile, con ordinanza n. 18006 depositata il 9 luglio scorso, si è occupata della pratica delle interviste televisive con «riprese occulte», vale a dire tenendo la telecamera accesa all'insaputa del soggetto ripreso, il quale, dunque, non sa né di essere registrato, né, tantomeno, che verrà mandato in onda. La Suprema Corte, in particolare, ha respinto il ricorso della Rai contro la decisione del Tribunale di Roma che nel 2014 l'aveva condannata, in solido con un giornalista free lance della trasmissione Report, a risarcire 25mila euro a un notaio filmato nel corso di un'inchiesta sui professionisti coinvolti nelle attività di riciclaggio e scommesse illegali. Il notaio aveva lamentato che l'uso della telecamera non era palese e che nella trasmissione le sue parole erano state «mutilate» producendo un effetto «fuorviante». Per cui aveva chiesto, e ottenuto, il risarcimento del danno non patrimoniale. Secondo il Tribunale la veridicità del racconto era provata «anche dalle modalità, parziali e mai frontali, delle inquadrature del notaio» e «dalla scarsa qualità della voce registrata con mezzi inadeguati». Il trattamento dei dati personali da parte della Rai e del giornalista doveva dunque ritenersi «illecito», perché la ripresa era stata effettuata «in modo occulto e con artifici, quindi in violazione dell'art, 2 del codice deontologico dei giornalisti», a norma del quale il giornalista è tenuto a “(rendere) note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta” delle notizie e ad “(evitare) artifici e pressioni indebite”. Non solo, il notaio era stato presentato ai telespettatori «come un soggetto al quale era necessario carpire informazioni in modo non palese e dando l'impressione che egli fosse coinvolto in vicende di malaffare». Pur ammettendosi la verità della notizia e dell'interesse pubblico, proseguiva il tribunale, «difettava il requisito della continenza, essendo la figura del notaio stata proposta al pubblico in modo ingiustificatamente lesivo e pregiudizievole». Né, infine, la circostanza che il giornalista era un free-lance scriminava la Rai, che comunque aveva potuto visionare il materiale prima della messa in onda. Il danno risarcibile al professionista è quello «all'integrità della sfera personale», compromessa «per essere i suoi dati stati trattati per scopi non espliciti né legittimi e in violazione dei parametri legali della correttezza, pertinenza e proporzionalità, a norma dell'art. 11, comma 1, lett. a), b) e d) del codice privacy». Né, infine, conclude l'ordinanza, «sarebbe possibile invocare la maggiore latitudine dell'esercizio del diritto di cronaca riferibile al giornalismo di inchiesta, dovendo anch'esso ispirarsi ai criteri etici e deontologici dell'attività professionale del giornalista e trovando comunque applicazione il limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo perseguito di denuncia sociale o politica».
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