Avv. Francesca Frezza
Con ordinanza del 16 novembre 2017 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Roma, dott. Buonassisi , ha accolto i ricorsi presentati da 153 lavoratori licenziati dalla società Almaviva Contact SpA ordinando a quest’ultima la reintegrazione dei dipendenti nel posto di lavoro e il risarcimento del danno dalla data del licenziamento alla data della reintegra.
La decisione si inserisce nell’ambito di un noto e complesso contenzioso pendente presso il Tribunale del Lavoro di Roma a seguito dei 1.666 licenziamenti operati dalla società Almaviva nei confronti dei dipendenti addetti presso la sede di Roma.
L’ordinanza del dott. Buonassisi traccia un solco rispetto alle precedenti decisioni intervenute che avevano dichiarato pienamente legittima la procedura di mobilità attuata dalla società Almaviva.
Il dott. Buonassisi, infatti, ha ritenuto non condivisibili le motivazioni poste alla base di alcune precedenti decisioni intervenute sul punto secondo le quali il rifiuto da parte delle RSU della sede di Roma di sottoscrivere l’accordo che ha riguardato la sede di Napoli e che ha “salvato” le sorti dei dipendenti addetti a quest’ultima sede, determina la preclusione dalla possibilità di comparare tali lavoratori, in quanto un simile modo di ragionare “sembra rovesciare l’ordine degli addendi”.
Osserva il Giudicante, infatti, “il datore di lavoro non poteva restringere l’ambito della scelta solo a Roma, senza rilevare in contrario che si trattava di proposta conforme ad un accordo stipulato con le organizzazioni sindacali e anche l’esigenza di ridurre il costo del lavoro in una certa unità produttiva non può giustificare tale limitazione”.
La decisione, quindi, della società di considerare esclusivamente il bacino dei dipendenti addetti alla sede di Roma e non l’intero complesso aziendale appare assolutamente illegittima in quanto, da un lato, le ragioni idonee a giustificare la delimitazione devono essere indicate e provate dal datore di lavoro, circostanze non emerse nel corso del giudizio, come rilevato dal Giudice, e, in ogni caso, l’accordo sindacale non può derogare ai criteri legali in quanto “in nessun modo il consenso sindacale può divenire lo strumento per attuare scelte obiettivamente discriminatorie”.
Come sopra rilevato, infatti, l’accordo non può essere contrario ai principi costituzionali e alle norme imperative e non può individuare criteri che, seppur indirettamente, risultano discriminatori “nell’ambito di una procedura collettiva e oltretutto con proposte di contenimento del costo del lavoro che sono anche palesemente lesive dei diritti individuali dei destinatari”.
Non è dato comprendere – osserva il Giudicante – “dove si nasconda in un simile vicenda “la razionalità e ragionevolezza” della scelta di Almaviva dovuta appunto al rifiuto dei lavoratori della sede di Roma di accettare la lesione dei loro più elementari diritti (…).
Il Giudicante conclude affermando che la scelta “e quindi anche l’accordo del 22.12.2016 se si aderisce all’interpretazione dello stesso Almaviva, si risolve in una illegittima discriminazione: chi non accetta di vedersi abbattere la retribuzione (a parità di orario e mansioni) e lo stesso tfr, in spregio all’art. 2103 c.c. e dell’art. 36 Cost. e di numerosi altri precetti costituzionali ancora vigenti, viene licenziato e chi accetta viene invece salvato. Un messaggio davvero inquietante anche per il futuro e che si traduce comunque in una condotta illegittima perché attribuisce valore decisivo ai fini della scelta dei lavoratori dal licenziare, pur se tramite lo schermo dell’accordo sindacale, ad un fattore (il maggior costo del personale in una certa sede rispetto alle altre) che per legge è del tutto irrilevante a questo fine”.
La società ha già comunicato che formulerà opposizione avverso tali ordinanze e comunque si attendono ora gli esiti delle ulteriori decisioni dei Giudici dello stesso Tribunale di Roma, al momento tutti orientati in senso contrario.
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