Lavori affidati all’impresa di piccole dimensioni: appalto o contratto d’opera?

Lavori affidati all’impresa di piccole dimensioni: appalto o contratto d’opera?
Come è possibile comprendere se i lavori che abbiamo affidato a un’impresa si qualifichino entro i limiti del contratto di appalto o del contratto d’opera? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 9 febbraio 2024 n. 3682, ci fornisce, tra i diversi aspetti affrontati, una panoramica su questo specifico profilo.

Il caso

La pronuncia della Corte di Cassazione trae origine da una controversia in ambito edilizio. Tre comproprietarie di un appartamento sito al piano terreno di un immobile chiamavano, infatti, in giudizio avanti al Tribunale di Alessandria il proprietario dell’appartamento sovrastante il proprio. Precisamente, chiedevano la condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni verificatisi nel proprio appartamento, e nel porticato antistante, derivanti dalle infiltrazioni causate dai lavori di rifacimento dei lastrici solari, dei cornicioni e dei canali di gronda. Unitamente al proprietario dell’appartamento chiamavano in giudizio – in qualità, a loro dire, di appaltatore – anche il titolare della ditta che aveva svolto tali lavori: anche di quest’ultimo chiedevano la condanna al risarcimento dei danni, in solido con il committente-proprietario.

Si costituivano, dunque, il proprietario dell’immobile e il titolare della ditta. In particolare, quest’ultimo sosteneva che il contratto in virtù del quale aveva svolto i lavori dovesse essere qualificato non tanto come contratto d’appalto, ma come contratto d’opera. In tal senso, lo stesso precisava che i lavori da lui svolti fossero riconducibili a mere riparazioni del pavimento del terrazzo e che, in virtù della qualifica di contratto d’opera, l’azione nei suoi confronti si fosse ormai prescritta ai sensi dell’art. 2226 c.c. Ma cosa dispone l’art. 2226 c.c.?

Prima dell’analisi dei fatti di causa, si ricorda, infatti, che ai sensi dell’art. 2226 c.c., l’azione per difformità o vizi dell’opera nei confronti del prestatore d’opera si prescrive entro un anno dalla consegna dell’opera stessa. Diversa è invece la prescrizione in ambito di appalto – quando si tratta di edifici o di altre cose immobili (art. 1669 c.c.) – per la quale la responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetti dura dieci anni dal compimento dell’opera.

Tornando al caso de quo, il Tribunale di Alessandria, pronunciandosi in primo grado, accoglieva le domande attore: qualificava il contratto come appalto e condannava i convenuti in solido al pagamento del costo dei lavori per l’eliminazione dei danni causati dalle infiltrazioni e delle spese per eliminare i vizi dell’opera. Di diverso orientamento era invece la Corte d’Appello. La Corte riformava, infatti, la sentenza di primo grado, qualificando il contratto in oggetto quale contratto d’opera, con relativa applicazione delle conseguenze prescrizionali: ritenuto, infatti, che, al momento della proposizione dell’azione nei confronti del prestatore, fosse decorso oltre un anno dalla consegna dell’opera, secondo la Corte la domanda delle attrici doveva essere rigettata per intervenuta prescrizione.

Avverso tale sentenza, le tre comproprietarie proponevano ricorso per cassazione, contestando in particolare, per quanto di interesse, la qualificazione come “contratto d’opera” fornita al contratto dalla Corte d’Appello, prospettando la violazione e la falsa applicazione di diverse norme di legge.  

Appalto e contratto d’opera: i motivi della decisione

Ed è questo il fulcro centrale della vicenda. Come si distingue, in un caso del genere, se si è in presenza di un contratto d’opera o di un contratto di appalto?

  • Il contratto d’opera è, infatti, quel contratto in virtù del quale “(…) una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente (…)” (art. 2222 c.c.).
  • Il contratto di appalto è invece “(…) il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro” (art. 1655 c.c.).

Sebbene – chiarisce la Cassazione – l’elemento comune ad entrambi i contratti sia “l’obbligazione verso il committente di compiere a fronte di un corrispettivo un’opera senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi li esegue”, la differenza tra i due si fonda sulla struttura e dimensione dell’impresa a cui tale opera viene commissionata.

Richiamandosi anche ad altri precedenti giurisprudenziali (Cass. civ., sent. n. 12519/2010), la Suprema Corte chiarisce ancora una volta un importante principio di diritto. Il contratto d’opera vede coinvolta la piccola impresa – quella richiamata all’art. 2083 c.c., per intenderci – mentre l’appalto postula un’impresa di medie o grandi dimensioni cui l’obbligato è preposto. Peraltro, la natura dell’impresa nell’uno o nell’altro senso – con le relative conseguenze in ordine alla qualificazione del contratto come “contratto d’opera” o come “appalto” – dovrà essere rimessa al giudice del merito, coinvolgendo una specifica valutazione degli elementi di fatto e delle risultanze probatorie (elementi – n.d.r. – che, nel caso di specie, avevano portato la Corte d’Appello di Torino a qualificare il contratto come “contratto d’opera”, essendo appunto l’impresa una ditta individuale, con una modesta entità di lavoratori, iscritta all’albo delle imprese artigiane, che aveva eseguito lavori di modesta entità appunto “compatibili con la natura di piccolo imprenditore dell’esecutore”).      

Conclusioni

Alla luce ex multis di quanto sopra, e ritenendo peraltro che nel caso di specie le ricorrenti, pur avendo prospettato i motivi di ricorso sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norme di legge, avessero di fatto mirato a contestare “la correttezza dell'apprezzamento in fatto operato dal giudice del merito”, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna le comproprietarie in solido al pagamento delle spese del giudizio.

Avv. Francesca Folla

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