La dequalificazione non costituisce motivo di rifiuto della prestazione

La dequalificazione non costituisce motivo di rifiuto della prestazione
Avv. Francesca Frezza Un lavoratore a seguito di una plateale dequalificazione dopo due mesi di svolgimento di mansioni non conformi al proprio ruolo, comunicava alla propria azienda datrice di lavoro una diffida  rifiutandosi contestualmente di continuare a  svolgere la propria prestazione lavorativa. La società, ritenuta l’assenza ingiustificata, all’esito di un procedimento disciplinare licenziava il lavoratore per giusta causa Il Tribunale di Firenze, con sentenza confermata dalla locale Corte di Appello, riteneva legittima la forma di autotutela e disponeva pertanto la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro. La Corte di Cassazione con sentenza del 27 dicembre 2017 n. 30985, pur ritenendo acquisita agli atti del processo la dequalificazione, ha ritenuto che la sospensione della prestazione lavorativa fosse ingiustificata e non proporzionata. La Cassazione ha, infatti, ritenuto di confermare l'orientamento già enunciato in precedenti ipotesi concernenti il rifiuto della prestazione a seguito di adibizione a mansioni inferiori, in base al quale il lavoratore non può rendersi totalmente inadempiente alla prestazione sospendendo ogni attività lavorativa, ove il datore di lavoro assolva a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro), potendo - una parte - rendersi totalmente inadempiente e invocare l'art. 1460 cod. civ. soltanto se è totalmente inadempiente l'altra parte. La Cassazione, infine, ritenendo che la cronologia degli accadimenti non sia stata adeguatamente ponderata dalla corte territoriale ha ritenuto, con  riferimento  al requisito della proporzionalità dei comportamenti nell'ambito del contratto a prestazioni corrispettive, che il rifiuto della prestazione lavorativa rappresenta una legittima forma di autotutela solo a fronte di un inadempimento datoriale che comprometta i beni personali del lavoratore (vita e salute), in violazione del dovere di protezione della persona del lavoratore, e che metta irrimediabilmente a rischio la sua incolumità.
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