Avv. Alessandro La Rosa
Con la sentenza n. 7708 depositata il 19 marzo 2019, la prima sezione civile della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della RTI (società del Gruppo Mediaset) nei confronti della Yahoo! Inc. e della Yahoo! Italia srl, intervenendo sul tema della responsabilità del c.d. hosting provider (ossia del prestatore di servizi che svolge attività di memorizzazione di informazioni fornite dagli utenti) ha dettato una serie di fondamentali indicazioni.
La Corte d’Appello di Milano aveva anzitutto respinto la stessa nozione di “hosting provider attivo”, affermando che tale figura, di creazione giurisprudenziale, fosse addirittura “fuorviante”. La Suprema Corte, al contrario, riconosce che la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea ha da tempo accolto la nozione di «hosting provider attivo», riferita a tutti quei casi in cui un prestatore di servizi della società dell'informazione svolga “un ruolo attivo” nella prestazione dei propri servizi, richiamando a tal fine il considerando 42 della direttiva 2000/31/CE (Corte di giustizia UE: C-521/17, punti 47, 48; C-291/13, punto 44; C-324/09, punti 112, 113, 116, 123; C-236/08 a C-238/08, punti 112, 113, 114 e 120). Dunque, l’hosting provider attivo che, come tale, é sottratto al regime di limitazione della responsabilità previsto dall’articolo 14 della Direttiva 2000/31/CE, è figura configurabile in presenza di “indici di interferenza” dello stesso con i contenuti memorizzati; individuati dalla Corte, “a titolo esemplificativo”, in “attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione”: condotte che abbiano, in sostanza, l'effetto di completare ed arricchire la fruizione dei contenuti da parte degli utenti. Con la conseguenza che l’hosting attivo concorre appunto “attivamente” nell’illecito commesso da terzi. In tal caso le regole sulla responsabilità civile applicabili sono quelle comuni (il che presuppone comunque che vi sia conoscenza, o ragionevole conoscibilità, dell'illiceità del fatto altrui). Anche il provider “passivo” però è passibile di forme di responsabilità, anche di tipo risarcitorio, al ricorrere di determinate condizioni. Il fatto compiuto (dal terzo) deve anzitutto essere “illecito”, quale certamente è la lesione dei diritti d’autore. Si versa poi in ipotesi di responsabilità risarcitoria quando, in presenza di una illiceità “manifesta” (che ricorre quando “sarebbe possibile riscontrarla senza particolare difficoltà, alla stregua dell'esperienza e della conoscenza tipiche dell'operatore del settore e della diligenza professionale da lui esigibile, così che non averlo fatto integra almeno una grave negligenza dello stesso”), il provider consapevole abbia omesso di attivarsi per la rimozione del contenuto: la Cassazione chiarisce quindi che si versa in tal caso in fattispecie di responsabilità per fatto proprio colpevole. Il momento in cui il provider passivo ha «conoscenza effettiva» dell’altrui illecito “coincide con l'esistenza di una comunicazione in tal senso operata dal terzo” titolare del diritto leso, con l’importante precisazione che tanto “non richiede una "diffida" in senso tecnico … essendo sufficiente una mera comunicazione o notizia dell’illecito”. La Cassazione ha anche chiarito che la detta conoscenza può essere acquisita dal provider in qualunque modo (“aliunde”) e che non è affatto necessario un ordine dell’autorità giudiziaria (come invece pretendeva la Yahoo!). La Suprema Corte ha anche chiarito la portata dell’art 17 d.lgs. n. 70 del 2003 che, come noto, esclude in capo al provider un obbligo di sorveglianza generale e costante su dati immessi dagli utenti: ma con l’importante precisazione che egli “risponde dei danni cagionati, allorché, reso edotto di quei contenuti - vuoi dal titolare del diritto, vuoi aliunde - non si sia attivato per la immediata rimozione dei medesimi”. Con la conseguenza che la regola juris che ne deriva è nel senso di sancire “un regime di irresponsabilità del prestatore sino al limite del suo diretto coinvolgimento”, per l’hosting attivo, “oppure della sua conoscenza dell'illecito (per l’hosting passivo ndr): in tal modo perciò circoscrivendo, ma non annullando del tutto, il controllo circa i contenuti immessi che possano integrare illeciti telematici”. In definitiva, ai sensi dell'art. 16 d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, l'hosting provider -anche quando non è "attivo" ma "passivo"- risponde dei danni verso il titolare dei diritti d'autore violati quando non abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti o quando abbia continuato a pubblicarli, se ricorrono queste tre condizioni: i) sia a conoscenza legale dell'illecito perpetrato dal destinatario del servizio, per averne avuto notizia dal titolare del diritto leso oppure in altro modo; ii) l'illiceità dell'altrui condotta sia ragionevolmente constatabile, onde il prestatore sia in colpa grave per non averla positivamente riscontata, alla stregua del grado di diligenza che è ragionevole attendersi da un operatore professionale della rete in un determinato momento storico; iii) l'hosting provider abbia la possibilità di attivarsi utilmente, in quanto reso edotto in modo sufficientemente specifico dei contenuti illecitamente immessi da rimuovere.
Quindi, in conclusione, l'onere di allegazione e di prova può essere precisato nel senso che “spetta al titolare del diritto leso allegare e provare, a fronte dell'inerzia dell'hosting provider passivo, la conoscenza di questi in ordine all'illecito compiuto dal destinatario del servizio, indotta dalla stessa comunicazione del titolare del diritto leso o aliunde, nonché di indicare gli elementi che rendevano manifesta detta illiceità; assolto tale onere, l'inerzia del prestatore integra di per sé la responsabilità, a fronte dell'obbligo di attivazione posto dal menzionato art. 16 del d.lgs. n. 70 del 2003, restando a carico del medesimo l'onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, possibilità che sussiste se il prestatore è munito degli strumenti tecnici e giuridici per impedire le violazioni (ad es., per il potere di autotutela negoziale al medesimo concesso in forza del contratto concluso con il destinatario del servizio)”. In ogni caso, a parte gli obblighi risarcitori per le violazioni già appurate, il giudice può adottare contro tale prestatore di servizi misure di inibitoria per il futuro, ossia che abbiano la funzione non solo di porre fine alle violazioni già commesse ma anche di prevenire la pubblicazione di ogni altro futuro contenuto illecito dello stesso tipo.
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