Avv. Flaviano Sanzari
L’utilizzo di una chat su whatsapp tra colleghi di lavoro per veicolare messaggi vocali di contenuto offensivo, minatorio e razzista nei confronti di un superiore gerarchico e di altri dipendenti non ha natura diffamatoria.
Una volta verificato il fatto che la chat costituisse un gruppo chiuso, al quale poteva partecipare solo un numero ristretto di colleghi appositamente ammessi, il tribunale di Firenze, sezione lavoro, con sentenza del 16 ottobre 2019, in accoglimento del ricorso di un lavoratore - licenziato, alla conclusione di un procedimento disciplinare, per avere diffuso svariati messaggi vocali «con contenuti offensivi, denigratori, minatori e razzisti» in una chat di whatsapp denominata «amici di lavoro» - ha deciso che il fatto contestato fosse privo del carattere della illiceità, con conseguente condanna del datore di lavoro alla reintegrazione in servizio del dipendente.
Sulla scorta di quest’ultimo rilievo, il giudice ha ritenuto che quanto avvenuto equivalesse allo scambio di corrispondenza privata tra colleghi di lavoro e costituisse espressione del diritto di corrispondenza privata, senza che il contenuto dei messaggi, proprio a causa del contesto chiuso e non suscettibile di diffusione all’esterno, potesse avere alcun rilievo sul piano disciplinare.
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