Avv. Andrea Bernasconi
La devoluzione in arbitrato, se così previsto da statuto, di una controversia proposta da o contro una società avente ad oggetto l’impugnazione di delibera assembleare, non osta alla proposizione di una domanda di tutela cautelare innanzi al giudice ordinario. Tale competenza, ai sensi dell’art. 35 comma 5, del Dlgs 5/2003, resta ferma anche quando il giudizio arbitrale abbia già avuto inizio per effetto dell’attivazione della clausola compromissoria.
Così si è espresso il Tribunale di Roma in una recente ordinanza di segno interpretativo opposto rispetto a quello della Giurisprudenza maggioritaria. La pronuncia in questione, in particolare, origina dalla revoca dell’amministratore di una S.p.A. deliberata dall’Assemblea e dalla contestuale decisione di muovere nei suoi confronti azione di responsabilità. Uno dei soci, oppostosi dapprima alla decisione in sede assembleare, promuoveva l’impugnativa della delibera avanti ad un arbitro unico secondo norma statutaria. Successivamente incardinava il relativo procedimento cautelare dinanzi al Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia di imprese, avente ad oggetto la sospensione dell’efficacia della delibera.
La società, di contro, eccepiva che la pronuncia sulla revoca cautelare spettasse in esclusiva all’arbitro già nominato, ciò per effetto della applicazione dell’articolo 35 comma 5 del Dlgs 5/2003 che prevede testualmente che “La devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell'articolo 669-quinquies del codice di procedura civile, ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validita' di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell'efficacia della delibera.”
Il Tribunale rigettava tale eccezione.
Ed è proprio sul significato dell’avverbio “sempre” che il giudice romano, nel respingere l’eccezione della società, si è posto contro la giurisprudenza prevalente, non attribuendo alla locuzione “sempre” il significato di “esclusivo”, bensì quello di inderogabilità dell'attribuzione del potere stesso. Cioè, gli arbitri sarebbero, per il Tribunale Romano, - inderogabilmente - titolari del potere, accessorio rispetto a quello di pronunciare sul merito della causa, di disporre la sospensione della decisione sociale oggetto di impugnazione, “mentre il giudice dello Stato resta depositario del potere di accordare la «tutela cautelare» tout court, ciò al fine di garantire l’ effettività della tutela giurisdizionale dei diritti”, così deve interpretarsi la norma, chiosa il tribunale, secondo una lettura costituzionalmente orientata della norma societaria in questione.
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