Avv. Flaviano Sanzari
La Cassazione è tornata a esprimersi sui confini del diritto di critica del lavoratore nella sentenza 18410 del 9 luglio.
Il diritto di critica del lavoratore nei confronti dell’azienda per la quale è impiegato ha dei limiti, violando i quali si può rischiare il licenziamento per giusta causa.
Se la critica esercitata dal lavoratore supera i limiti della correttezza formale e di tutela della persona umana, attribuendo all’impresa o ai suoi rappresentanti qualità disonorevoli, riferimenti volgari e infamanti e deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio, il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento, anche in mancanza degli elementi soggettivi e oggettivi costitutivi della fattispecie penale della diffamazione.
In altri termini, l’esercizio del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, con modalità tali che superano i limiti del rispetto della verità oggettiva e si traducono in una condotta lesiva del decoro dell’impresa, suscettibile di provocare con la caduta della sua immagine anche un danno economico in termini di perdita di commesse e di occasioni di lavoro, è comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro, integrando la violazione del dovere che scaturisce dall’articolo 2105 del Codice civile e può costituire giusta causa di licenziamento.
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