Avv. Francesca Frezza
La condotta di postare un commento su facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica.
Se tale commento, come quello in esame, è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili, la relativa condotta integra gli estremi della diffamazione e come tale correttamente il contegno è stato valutato in termini di giusta causa del recesso, in quanto idoneo a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo.
Pertanto, la Corte di Cassazione con sentenza del 27 aprile 2018 n. 10280 ha rigettato il ricorso proposto da una lavoratrice ribadendo che l'ascrivibilità della condotta tenuta dalla lavoratrice al delitto di diffamazione era pacificamente ritenuta dalla giurisprudenza richiamata in sentenza e che come tale la stessa integrava comportamento idoneo ad incrinare irrimediabilmente il vincolo fiduciario essenziale al rapporto di lavoro e deducibile quindi a giusta causa di licenziamento.
Tanto più che, nella fattispecie, alle invettive rivolte all'organizzazione aziendale ed ai superiori, si aggiungeva la prospettazione del ricorso a malattie asintomatiche in caso di dissensi di vedute con il datore di lavoro, e ciò da parte di soggetto caratterizzantesi per una documentata frequente morbilità.
Nel corso del giudizio, peraltro, i testi avevano escluso che in capo alla lavoratrice fossero ravvisabili condizioni di particolare aggravio o stress quanto alle condizioni di lavoro e che, pertanto, era risultato vano il tentativo di individuare un'esimente della condotta diffamatoria della stessa nelle condizioni di lavoro ed in un non provato stress da lavoro correlato.
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