Esercizio del Golden Power, la vicenda UniCredit-Banco BPM

Esercizio del Golden Power, la vicenda UniCredit-Banco BPM
Nel contesto della procedura di acquisizione promossa da UniCredit S.p.A. nei confronti di Banco BPM S.p.A., avviata con l’offerta pubblica di scambio volontaria sulla totalità delle azioni ordinarie della società target, si è innestata una complessa vicenda politico-giudiziaria che sollecita una riflessione sull’equilibrio tra l’esercizio del potere speciale governativo noto come golden power e i principi di libertà di iniziativa economica e di concorrenza, tanto nell’ordinamento interno quanto in quello dell’Unione europea.

Con la sentenza n. 13748 del 12 luglio 2025 il TAR Lazio, Sezione I, ha parzialmente accolto il ricorso proposto da UniCredit avverso il D.P.C.M. 18 aprile 2025 con cui il Governo aveva subordinato l’autorizzazione dell’operazione a una serie di condizioni. L’intervento giurisdizionale assume rilievo non solo per la rarità di pronunce di merito in materia, ma anche per la portata delle questioni affrontate, concernenti il perimetro della discrezionalità governativa e i limiti di sindacabilità dei provvedimenti adottati in forza del decreto-legge 15 marzo 2012 n. 21.

La pronuncia in commento si colloca nel quadro della complessa vicenda che ha visto protagonisti due colossi del settore bancario italiano, UniCredit e Banco BPM, ed è opportuno richiamarne brevemente i tratti essenziali al fine di inquadrare correttamente il contenuto della decisione. A marzo 2025 UniCredit ha lanciato un’offerta pubblica di scambio, già annunciata nel novembre 2024, finalizzata all’acquisizione della totalità delle azioni di Banco BPM, con l’obiettivo dichiarato di dar vita al primo gruppo bancario nazionale. Pur trattandosi di un’operazione interna, essa è stata sottoposta al vaglio governativo ai sensi del decreto-legge 15 marzo 2012 n. 21 in materia di golden power, la cui disciplina è stata estesa al comparto bancario nel 2022.

Come noto, lo stesso, rappresenta il potere speciale esercitabile dal Governo per salvaguardare gli assetti delle imprese operanti in settori ritenuti strategici e di interesse nazionale e consiste principalmente nella facoltà dell’Esecutivo di porre il veto rispetto all’adozione di determinate delibere, atti e operazioni delle imprese che gestiscono attività strategiche in specifici settori, di dettare impegni e condizioni in caso di acquisito di partecipazioni in tali imprese, ovvero di opporsi all’acquisto delle medesime partecipazioni.

Con il D.P.C.M. del 18 aprile 2025, successivamente impugnato da UniCredit davanti al TAR, il Governo ha autorizzato l’operazione imponendo tuttavia una serie di condizioni particolarmente incisive. In tale contesto è poi intervenuta la sentenza n. 13748 del 12 luglio 2025 con la quale il Collegio ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso, per i motivi di seguito esaminati.

Parallelamente, da Bruxelles, la Commissione europea aveva manifestato crescenti perplessità: dapprima, nell’aprile 2025, richiamando la necessità di un uso proporzionato dei poteri speciali, quindi, nel maggio successivo, trasmettendo una richiesta di chiarimenti al Governo italiano nell’ambito del sistema EU Pilot. Dopo aver esaminato la risposta pervenuta da Palazzo Chigi, Bruxelles ha concluso, in via preliminare, che il decreto presentava possibili profili di incompatibilità con l’art. 21 del Regolamento (CE) n. 139/2004 sulle concentrazioni, pur senza aprire un procedimento formale nei confronti dell’Italia. Nello stesso periodo la Direzione Generale Concorrenza (DG COMP) della Commissione europea aveva autorizzato l’operazione UniCredit-BPM a norma del regolamento europeo sulle concentrazioni, subordinandola però al rispetto degli impegni assunti dall’offerente per garantire il mantenimento di adeguati livelli di concorrenza nel mercato bancario nazionale.

Tale intreccio di valutazioni interne ed europee, unitamente alla parziale censura operata dal TAR Lazio, ha reso evidente come l’esercizio del golden power possa incidere profondamente sull’esito di operazioni straordinarie di rilievo sistemico, imponendo una riflessione più ampia sul necessario equilibrio tra tutela dell’interesse nazionale, rappresentato dall’esercizio dello speciale potere governativo, e il rispetto delle libertà economiche garantite dall’ordinamento unionale e nazionale.

Il Collegio, nella pronuncia pubblicata a luglio, ha distinto le prescrizioni governative sotto il profilo della proporzionalità e della ragionevolezza. Sono state annullate, in quanto viziate da eccesso di potere e difetto di motivazione, le clausole del D.P.C.M. oggetto di ricorso che imponevano il mantenimento quinquennale del rapporto impieghi/depositi e la conservazione sine die del portafoglio di project finance. Tali misure, secondo i giudici, travalicavano l’obiettivo di tutela dell’interesse nazionale, traducendosi in una vera e propria ingerenza dello Stato nelle scelte imprenditoriali e gestionali delle banche coinvolte, senza un adeguato bilanciamento con la libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost. e con il principio di proporzionalità che deve guidare l’esercizio di ogni potere amministrativo. Al contrario, sono state ritenute legittime le condizioni concernenti la dismissione delle attività in Russia e il sostegno agli investimenti domestici di Anima Holding, in quanto espressamente correlate a interessi strategici di sicurezza e stabilità finanziaria nazionale, coerenti con la ratio legis del golden power. La decisione del TAR, pur confermando l’ampiezza della discrezionalità governativa, ha così tracciato un limite netto oltre il quale l’imposizione di vincoli si traduce in un’indebita sostituzione dell’autorità pubblica all’autonomia gestionale dell’impresa.

L’intervento del TAR, collocandosi in un quadro normativo che ha visto il progressivo ampliamento dell’ambito di applicazione del d.l. n. 21/2012 – originariamente circoscritto a difesa ed energia e via via esteso ai settori strategici nazionali e oggi al settore bancario e finanziario – costituisce, pertanto, un monito sulla necessità di un uso misurato e coerente del golden power senza degenerare in uno strumento ordinario di indirizzo della politica industriale e senza pregiudicare la certezza del diritto, l’affidamento degli operatori e il rispetto delle libertà economiche garantite a livello costituzionale ed europeo.

Avv. Andrea Bernasconi e Avv. Arianna Serafini

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