La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1185 del 23 gennaio 2020, in materia di morosità del socio di s.r.l., ha affermato il seguente principio di diritto: “nel caso di mora del socio nell’esecuzione dei versamenti, dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea nel corso della vita della società, il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società”.
Nell’esame complessivo della vicenda, la Suprema Corte si occupa in primo luogo dell’applicabilità dell’articolo 2466 c.c. al socio moroso, non solo quando il debito derivi dal mancato conferimento iniziale, ma anche quando il debito origini dal mancato versamento in un aumento di capitale.
La norma, in sostanza, descrive un procedimento che trova il suo necessario presupposto nella preventiva diffida al socio ad eseguire i conferimenti dovuti entro il termine di trenta giorni, e si chiude, eventualmente, con l’esclusione del socio moroso e la conseguente riduzione nominale del capitale.
Tale procedimento mira a preservare l’effettività del capitale sociale e la situazione patrimoniale della società, tutela che afferma la Corte “non ha ragione di essere limitata (…) ai conferimenti iniziali, essendo essa applicabile –in via diretta, e non estensiva od analogica – all’esecuzione dei conferimenti in sede di successivo aumento di capitale”.
Tuttavia, tenuto conto di tali circostanze, e fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l’indivisibilità della quota, deve ritenersi illegittima la decisione dell’assemblea di avviare procedura di vendita in danno del socio moroso per l’intera partecipazione sociale posseduta dal socio, ivi compresa la quota originariamente sottoscritta e liberata in sede di conferimento iniziale. L’assemblea, dovrebbe, in ossequio ai principi di correttezza e buona fede dei rapporti societari, deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la frazione di capitale corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall'aumento non onorato e non per la parte di cui il socio fosse titolare prima della deliberazione di aumento.
La Corte chiosa affermando un altro principio di diritto, secondo il quale “il socio moroso di società a responsabilità limitata non è ammesso, secondo il disposto dell’art. 2466 c.c., ad esprimere il proprio voto nelle decisioni e deliberazioni assembleari, ma non perde anche il diritto di controllo sugli affari sociali, ai sensi dell’art. 2476, comma 2, c.c., sino a che egli resti parte della compagine societaria in esito al procedimento intrapreso dagli amministratori”.
Pertanto il socio moroso, fino al completamento del procedimento di vendita coattiva o di esclusione, non cessa di essere socio: il voto resta "sospeso" durante l’arco di tempo in cui permane la morosità (quale misura sanzionatoria e sollecitatoria dell'adempimento) ma ciò non preclude gli altri diritti, tra cui quelli di informazione e di ispezione perché atti a garantire – in special modo in ipotesi di conflitto tra soci – il principio di trasparenza sulla gestione societaria.