La terza Sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 3893 del 29 febbraio 2016, ha chiarito che, in materia di colpa medica, una volta accertata la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta e la lesione subita, un eventuale pregresso stato patologico del paziente può assumere rilievo soltanto ai fini della quantificazione del danno risarcibile.
La Suprema Corte, in sostanza, ha inteso proseguire nell'orientamento maggioritario in tema di concorso di cause nella determinazione del danno, ribadendo che deve ritenersi del tutto isolato il principio esposto nella sentenza n. 975/2009, in cui si affermava che, nel caso di concomitanza della condotta del sanitario e di un fattore naturale rappresentato dalla situazione patologica del paziente, il giudice avrebbe dovuto valutare la diversa efficienza delle varie concause ed attribuire all'autore della condotta dannosa la parte di corresponsabilità ad egli riconducibile, ponendo a carico del danneggiato il pregiudizio dovuto al suo stato personale.
Al contrario, la Corte di Cassazione è da tempo attestata sul principio per cui, ove la condotta colposa del medico abbia assunto rilievo causale nella produzione del danno come causa autonoma, efficiente e atipica rispetto alla causa originaria, se ne deve trarre la conseguenza che l'autore è responsabile per l'intero, avendo la pronuncia in esame chiarito che solo nella successiva fase di determinazione del quantum risarcitorio, si possa tener conto di circostanze, quali la sussistenza di pregresse concause, al fine di ridurre l'ammontare dell'™importo liquidato.
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