Avv. Francesca Frezza
La Corte d’Appello di Venezia, in accoglimento del gravame presentato da una lavoratrice, dichiarava la nullità del patto di prova apposto al contratto di lavoro e conseguentemente l’illegittimità del licenziamento comminatole in quanto la clausola inserita nel contratto stipulato a tempo indeterminato doveva ritenersi illegittima avendo la datrice di lavoro per ben tre volte, tra il 2007 ed il 2009, impiegato la lavoratrice sulla base di contratti a termine per le medesime mansioni.
La Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 6633 del 9 marzo 2020, nel respingere il ricorso presentato dalla datrice di lavoro richiama la consolidata giurisprudenza secondo cui il patto di prova è uno strumento tramite il quale entrambe le parti, datore di lavoro e lavoratore, possono verificare la convenienza del contratto accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo l’entità della prestazione e le condizioni di svolgimento del rapporto.
La Corte di Cassazione rileva che avendo avuto la datrice di lavoro, per ben tre volte, potuto verificare le qualità professionali e la personalità della lavoratrice superate con esito positivo, la circostanza che vi sia stata una differente realtà territoriale diviene irrilevante in quanto le mansioni affidate alla lavoratrice sono rimaste le stesse dei rapporti precedenti nonché risulta del tutto ininfluente ai fini della reiterazione del patto di prova il richiamato intervallo temporale tra l’ultimo contratto a termine e la stipula di quella successivo in quanto le mansioni di portalettere non possono essere soggette a rapido mutamento.