Con la sentenza n. 349/2016, la Corte di Cassazione ha ribadito i criteri in base ai quali è possibile procedere al risarcimento del danno non patrimoniale ed ha fornito dei chiarimenti nel caso in cui l'organo giudicante procedesse alla sua liquidazione in via equitativa.
Nel caso di specie, un carabiniere aveva agito in giudizio per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un errore nella sua identificazione, verificatosi nella fase di notifica di un verbale di contestazione per violazione del codice della Strada. Vedendo negate le sue richieste dinnanzi alle corti di merito, il carabiniere ricorreva in Cassazione eccependo che, in ipotesi di lesione dei diritti inviolabili della persona, sia sufficiente la mera dimostrazione della violazione affinché venga riconosciuto un equo risarcimento. I giudici di Piazza Cavour, nel rigettare il suddetto ricorso, hanno in primo luogo riaffermato lo ius recptum secondo cui l'art. 2059 c.c. non costituisce una fattispecie autonoma di illecito diversa da quella prevista dall'art. 2043 c.c.; da tale fondamentale premessa ne deriva che, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale - anche in caso di lesione di diritti costituzionali inviolabili - occorre pur sempre accertare la sussistenza degli elementi costitutivi dell'illecito extracontrattuale: condotta illecita, danno ingiusto “ cioè, sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare del diritto “nesso causale. Sulla base di questo assunto, quindi, non potrebbe configurarsi la risarcibilità di un danno conseguente alla lesione della propria reputazione, senza che venga allegato e provato (anche per presunzioni) il concreto pregiudizio subito. Allo stesso modo, a nulla varrebbe la previsione di una possibile liquidazione in via equitativa del risarcimento del danno non patrimoniale. Nella sentenza in oggetto, infatti, gli ermellini hanno sottolineato come "la liquidazione equitativa del danno ha natura sussidiaria e non sostitutiva dell'onere di allegazione e prova della parte, con la conseguenza che la facoltà per il giudice di liquidare in via equitativa il danno esige, innanzitutto, l'accertata esistenza di un danno risarcibile".
In tema, occorre dar conto della recente ordinanza del Tribunale di Brescia, emessa in data 10 Febbraio 2016 “ avente ad oggetto la diffamazione a mezzo stampa di soggetti che svolgono una funzione pubblica“ che, apparentemente, sembra fare applicazione del suddetto principio. Nel caso specifico, due magistrati avevano citato in giudizio un giornalista reo di aver pubblicato degli articoli asseritamente diffamatori, lesivi del loro onore e della loro reputazione. L'organo giudicante, premettendo che il danno non patrimoniale, pur concretizzandosi nella lesione di diritti inviolabili della persona, debba essere opportunamente allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento, ha proseguito precisando come risulti altrettanto pacifico "che la prova dell'esistenza del danno possa essere data anche e solo con il ricorso al notorio e/o tramite presunzioni semplici".
Da tali premesse, il Tribunale ha concluso che, nel caso concreto, non potesse essere mosso alcun dubbio circa il pregiudizio arrecato agli attori dagli articoli contestati, dal momento che il giornalista ha attaccato i giudici tacciandoli di parzialità nell'esercizio delle funzioni giudicanti e di perpetrazione di gravissimi fatti, quali l'eversione dell'ordine democratico, la calunnia e la minaccia, e, infine, di assenza di integrità nella vita privata. Ciò posto, il giudice di merito ha proceduto a liquidare in via equitativa il danno non patrimoniale subito dagli attori, considerando, ai fini della liquidazione, la larga diffusione dei quotidiani in questione, l'autorevolezza dell'autore delle accuse pregiudizievoli, nonché la delicatezza della funzione svolta dai destinatari delle pesanti accuse. Tuttavia, più di un dubbio è lecito avanzare circa le modalità con cui il Tribunale di Brescia è pervenuto a riconoscere la sussistenza del danno non patrimoniale, sulla dichiarata scorta del principio confermato dalla Cassazione, in base al quale spetta al danneggiato allegare e provare “ anche per presunzioni “ l'esistenza del pregiudizio subito.
La prova presuntiva, infatti, avrebbe dovuto riguardare proprio tale ultimo aspetto, consentendo al giudice di ritenere dimostrato il danno non patrimoniale (in ipotesi, la sofferenza morale e psicologica patita, costituente il fatto principale, ignoto), sulla base dell'accertata sussistenza di validi fatti secondari (ovvero, circostanze da cui poter oggettivamente presumere la suddetta sofferenza, quali, ad esempio, cambiamenti di abitudini di vita, manifestazioni depressive, mutamenti nelle relazioni sociali, ecc.). Il Tribunale di Brescia, invece, ha posto a base del ragionamento presuntivo l'accertata lesione della reputazione degli attori, ritenendo, evidentemente, che dalla violazione del diritto alla reputazione discenda, immancabilmente, un patimento grave e, comunque, tale da poter rappresentare un pregiudizio non patrimoniale risarcibile. Tale modalità di applicazione del ragionamento presuntivo, tuttavia, non appare corretta, finendo per risolversi in una petizione di principio “ per cui al fatto illecito deve necessariamente conseguire il danno, mentre così non è “ e per vanificare l'insegnamento della Corte di Cassazione, che, ribadendo ormai costantemente il summenzionato principio, ha inteso proprio allontanarsi dall'opposta tesi che, nel passato, aveva portato a riconoscere un cosiddetto danno in re ipsa, ovvero derivante automaticamente dalla commissione dell'illecito.
Avv. Flaviano Sanzari