Avv. Francesca Frezza
Un autista, assunto con contratto di lavoro intermittente, adiva il Tribunale di Bologna richiedendo la costituzione di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno sul presupposto che il suo contratto era stato stipulato nonostante il divieto della contrattazione collettiva.
La sentenza di accoglimento di primo grado veniva riformata dalla Corte di Appello Felsinea.
La Corte di Cassazione, dopo aver ricostruito lo sviluppo di tale tipologia contrattuale, e dato atto della sostanziale conferma dell'assetto normativo anche nel recente intervento legislativo di riforma del mercato del lavoro (d.lgs. 81/15), con sentenza n. 29423 del 13 novembre 2019, ha respinto la domanda del lavoratore.
La Suprema Corte ha stabilito, infatti, che la disciplina contenuta negli artt. 34 e seguenti del d.lgs 276/03, applicabile ratione temporis, escludeva un diritto di veto in capo alla contrattazione.
L’art. 34, comma 1, d. lgs n. 276 del 2003 si limita, infatti, a demandare alla contrattazione collettiva la individuazione delle “esigenze” per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue. Sotto il profilo sistematico l’assunto della possibilità per le parti collettive di impedire del tutto l’utilizzazione di tale forma contrattuale risulta smentito - ad avviso della Corte di Cassazione - dalla contestuale previsione nell’ambito del primo comma dell’art. 34 di un potere di intervento sostitutivo da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dall'assenza di un espresso richiamato ad un potere autorizzatorio nei casi vietati dalla contrattazione di categoria.
Tale previsione, precisa la Suprema Corte, denota la volontà del legislatore di garantire l'operatività del nuovo istituto, a prescindere dal comportamento inerte o contrario delle parti collettive.
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