Sussiste il diritto ad ottenere la reintegra nel posto di lavoro se la contestazione disciplinare non coincide con il licenziamento

Sussiste il diritto ad ottenere la reintegra nel posto di lavoro se la contestazione disciplinare non coincide con il licenziamento
Avv. Francesca Frezza Ove il fatto posto a base del recesso sia diverso da quello contestato, perché comprendente un nuovo elemento costitutivo della fattispecie, non è applicabile la tutela di cui al 5° comma dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970, né quella di cui al 6° comma della citata legge.Un lavoratore addetto a mansioni di ausiliario addetto al servizio di pulizie veniva licenziato per motivi disciplinari da una azienda ospedaliera. Il Tribunale di Lecce, rilevato che il licenziamento era stato irrogato per una violazione disciplinare diversa da quella indicata nella lettera del recesso, nella quale era stata addebitata una recidiva nelle mancanze del lavoratore, mentre di fatto era stato contestato un solo episodio di assenza dal posto di lavoro, applicava la previsione di cui all'art. 18 comma 6 della legge n. 300 del 1970 con attribuzione di una indennità risarcitoria determinata nella medesima misura della fase sommaria.La Corte di Appello, in riforma della decisione, annullava il licenziamento intimato e condannava l’azienda a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro condannando la società al pagamento di una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità.La Corte riteneva, infatti, che non si verteva in ipotesi di violazione formale o procedurale, ma di vizio sostanziale mancando nella lettera di contestazione la recidiva che rappresentava l’elemento costitutivo della sanzione espulsiva. La Corte di Cassazione con provvedimento del 28 agosto 2018 n. 21265,  nel respingere il gravame della società, ha affermato che il fatto contestato ex art. 7 della legge n. 300/1970 deve essere lo stesso che, poi, dà luogo all’adozione del provvedimento disciplinare. Ritiene la Cassazione, infatti, che, ove il fatto posto a base del recesso sia diverso da quello contestato, perché comprendente un nuovo elemento costitutivo della fattispecie, rappresentato dalla recidiva, non è applicabile la invocata tutela di cui al V comma dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 che disciplina i casi di sproporzione tra condotta e sanzione espulsiva nelle ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa.Analogamente, non ricorre la sanzione minore prevista nel sesto comma che concerne esplicitamente la violazione del requisito della motivazione o la violazione della procedura di cui all'art. 7 della legge n. 300/1970 oppure la violazione della procedura dell'art. 7 della legge n. 604 del 1966. Conclude, quindi, la Suprema Corte: “Va ricordato che lo stesso VI comma del citato art. 18 prevede “uno scivolamento” verso tutele intermedie laddove il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che, oltre al vizio formale o procedurale denunziato, vi sia anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applicherà la tutela reintegratoria cd. attenuata del IV comma o la tutela indennitaria cd. forte del comma 18. Nella fattispecie in esame, però, non potendosi valutare un’ipotesi di nullità del licenziamento per il divieto della reformatio in peius, ed esclusa l’applicabilità, per quanto sopra detto, del V e del VI comma dell’art. 18 della legge n. 300/1970, resta la tutela di cui al IV comma applicata dalla Corte di merito in relazione ad una condotta in cui comunque il fatto oggetto del licenziamento non coincideva con quello originariamente contestato
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