Con l'entrata in vigore del Ddl (AC. n. 2233-B) approvato dal senato il 10 maggio 2017, cambia la disciplina dello smart working.
Viene chiarito in primo luogo il significato dello smart working, intendendosi per tale, non una nuova tipologia contrattuale, bensì una "modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato" stabilita mediante accordo tra le parti, caratterizzata dall'utilizzo di strumenti tecnologici, eseguito in parte all'interno dell'azienda in parte all'esterno.
Con il termine “smart working” s’intende, infatti, la possibilità del dipendente di lavorare da casa, sfruttando a pieno gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia: pc, tablet ma anche piattaforme come skype ad esempio, con il quale si possono fare riunioni senza doversi recare fisicamente in ufficio.
Attraverso tale modalità alternativa della prestazione lavorativa non vi è più la necessità di postazione ed orario di lavoro fissi, l’ufficio diventa un punto d’incontro e la tecnologia è quello strumento che facilita la collaborazione tra le parti, con flessibilità e mobilità.
Il trattamento economico del lavoratore agile non dovrà essere inferiore a quello applicato ai dipendenti che svolgono le stesse mansioni in azienda.
È previsto anche il cosiddetto diritto alla disconnessione, che altro non è che il classico giorno di riposo per chi si reca in ufficio ogni mattina.
L’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ha stimato che già circa 250mila sono gli italiani che lavorano “in remoto”.
Negli ultimi due anni il numero di grandi imprese che lo adottano è passato dall’8% al 30%, con notevoli risparmi in termini di costi aziendali e i dati lasciano presagire un sempre maggiore utilizzo di tale strumento.
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