Recentemente chiamata a pronunciarsi in tema di ingiustificato arricchimento ex artt. 2041 e 2042 c.c., la Corte di Cassazione, con sentenza 13203/2023, ha indicato quali sono i presupposti fondativi dell’azione nonché fornito una risposta al seguente quesito: se il contratto tra le parti viene dichiarato inesistente, è proponibile l’azione di ingiustificato arricchimento?
Cos’è l’azione di ingiustificato arricchimento?
L’azione di ingiustificato arricchimento (art. 2041 c.c.) è stata prevista in ambito civile con lo scopo di prevedere a carico di colui che si è arricchito senza giusta causa ai danni di un’altra persona, l’obbligo di indennizzare – nei limiti dell’arricchimento – la parte che ha subito la diminuzione patrimoniale. L’ordinamento, infatti, non ammette che un soggetto si arricchisca a danno di un altro, senza che vi sia una giusta causa a giustificare il trasferimento patrimoniale dal secondo al primo.
Attenzione però: tale azione non è esercitabile sempre, ma solo quando il danneggiato non abbia “un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito” (art. 2042 c.c.); in altre parole, in presenza di un’altra tutela azionabile, la parte danneggiata dovrà preferire quest’ultima azione piuttosto che quella di ingiustificato arricchimento: ciò è, infatti, espressione del cd. principio di sussidiarietà dell’azione, che più di una volta ha portato i Giudici a interrogarsi sui presupposti della sua proponibilità. Già, infatti, a febbraio scorso, la III Sezione della Corte di Cassazione aveva rimesso gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione della questione alle Sezioni Unite: in quel frangente, tuttavia, la domanda era di altro tipo, ossia se l’azione di ingiustificato arricchimento fosse proponibile anche quando l’avente diritto avesse a propria disposizione un’azione fondata su una clausola generale.
Differente è, invece, il tema oggetto del caso in esame, ossia: se il contratto tra le parti viene dichiarato inesistente, è proponibile l’azione di ingiustificato arricchimento?
I fatti di causa
La questione trae origine da una vicenda risalente nel tempo. Infatti, negli anni Novanta del secolo scorso, due parti stipulavano un contratto di godimento d’azienda; successivamente tale contratto veniva risolto e al precedente affittuario ne subentrava uno nuovo. A causa di un crollo che rendeva inagibile l’immobile, tuttavia anche quest’ultimo contratto veniva sciolto, per poi essere nuovamente stipulato – sempre tra la proprietà e l’ultimo affittuario – dopo alcuni interventi di ripristino effettuati sia ad opera del proprietario sia ad opera del medesimo affittuario.
Successivamente, quest’ultimo veniva citato in giudizio dal proprietario, che lamentava l’omesso versamento dei canoni e chiedeva la risoluzione del contratto. Il convenuto resisteva, quindi, in giudizio, vedendosi tuttavia respinte, in primo e in secondo grado, la domanda principale di rigetto delle pretese avversarie, la domanda riconvenzionale di rimborso delle spese sostenute per le riparazioni e relativa compensazione con i canoni insoluti, nonché, la domanda di arricchimento senza causa proposta nel corso del processo di primo grado.
A tale primo procedimento ne seguiva poi un secondo, in cui l’affittuario riproponeva la domanda di ingiustificato arricchimento in relazione agli interventi di ripristino dallo stesso effettuati nel periodo tra la risoluzione e la successiva stipula del contratto, accolta questa volta in primo grado, ma nuovamente rigettata dalla Corte d’Appello. La Corte sosteneva, infatti, che la domanda fosse inammissibile sia per formazione di precedente giudicato (soluzione poi smentita dalla Cassazione) sia, soprattutto per ciò che qui interessa, per contrarietà al principio di sussidiarietà: la Corte d’Appello riteneva, infatti, che l’azione di ingiustificato arricchimento non fosse proponibile per il fatto solo che nel primo procedimento era stata rigettata la domanda alternativa di natura contrattuale (ossia, a prescindere dalle effettive ragioni che, nel primo procedimento, ne avevano determinato il rigetto).
Di diversa opinione è, tuttavia, la Corte di Cassazione che, pronunciandosi in senso contrario, preliminarmente chiarisce perché l’azione di ingiustificato arricchimento ha carattere sussidiario.
L’iter della Corte di Cassazione
In primo luogo la Cassazione evidenzia come il carattere sussidiario della domanda di ingiustificato arricchimento è previsto proprio (i) per evitare che, cumulando più azioni, una parte abbia duplicazioni di tutela e ancora (ii) per evitare che, con l’esercizio dell’azione di arricchimento senza causa, la parte si sottragga alle conseguenze di una diversa azione contrattuale e infine (iii) per evitare che colui che ha fondato il proprio diritto su un contratto dichiarato nullo possa comunque coltivare la propria pretesa su un altro titolo. Successivamente – rilevando che il caso in esame non ricade in nessuno di tali scenari – smentisce l’assunto della Corte d’Appello.
Non è affatto vero – dispone la Suprema Corte – che già solo il rigetto della domanda contrattuale rende improponibile l’azione di arricchimento senza causa. Per verificare, infatti, se l’azione di ingiustificato arricchimento possa – in casi come quello in esame – essere dichiarata ammissibile o meno, è necessario accertare per quali motivi la precedente domanda contrattuale è stata rigettata: se la domanda contrattuale è stata rigettata perché il contratto era inesistente, allora la domanda di arricchimento senza causa sarà sussidiariamente proponibile; sarebbe, infatti, del tutto incoerente affermare che una domanda di arricchimento senza causa (che presuppone appunto la non esistenza del contratto) è inammissibile a causa di una precedente pronuncia, che ha però dichiarato proprio l’inesistenza del contratto. E quindi, per citare il principio di diritto della Suprema Corte: “la sentenza, che abbia dichiarato l’inesistenza del contratto, se in negativo esclude che l’avente diritto possa nuovamente esercitare l’azione contrattuale, in positivo accerta la sussistenza del presupposto della sussidiarietà” e pertanto l’azione di ingiustificato arricchimento “è proponibile proprio in quanto il danneggiato, non esistendo il contratto, ha a disposizione soltanto detta azione per fare valere il suo diritto all’indennizzo per il pregiudizio subito”.