Sul tema del rapporto tra contratto definitivo e preliminare vi sono numerosi precedenti giurisprudenziali nei quali viene delineata chiaramente la preminenza del primo - ovvero delle clausole ivi contenute - sul secondo, salvo una diversa volontà delle parti risultante da prova scritta (trattandosi spesso il tema con riferimento a beni immobili).
Ebbene, la recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 20541 del 30 agosto 2017) non si allontana dal solco tracciato da oltre 50 anni di precedenti giurisprudenziali ma tuttavia mostra una particolarità: la sentenza infatti non prende in esame il semplice contrasto tra le clausole presenti in un preliminare e non trasposte - o non compiutamente riportate - nel definitivo, bensì la prassi, in sé piuttosto comune, di prevedere il prezzo “reale” di una compravendita nel preliminare ed un prezzo “scontato” nel definitivo.
La Corte ha rilevato infatti che, in assenza di un documento che provi la diversa volontà delle parti, l’unico contratto vincolante tra le stesse deve necessariamente essere il definitivo (nel quale, nel caso di specie, veniva riportato un prezzo inferiore) con la conseguenza che il diverso prezzo indicato nel definitivo deve essere considerato come il corrispettivo effettivamente e definitivamente concordato tra venditore e acquirente (nel caso di specie il venditore è stato costretto a restituire la differenza di prezzo a titolo di indebito oggettivo).
Ne discende che, laddove la parti vogliano far “sopravvivere” alcune prestazioni contenute nel preliminare dovranno premunirsi di formalizzarle in documenti sottoscritti contemporaneamente al definitivo.
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