Avv. Daniele Franzini
La Corte Costituzionale, con sentenza del 31 maggio 2018, n. 114 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, lettera a), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (“Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”), nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella esattoriale o alla successiva intimazione di pagamento, siano ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c., ossia quelle mediante le quali il contribuente può contestare il diritto dell'agente della riscossione a procedere ad esecuzione forzata.
Il censurato art. 57, norma volta a disciplinare l’opposizione all’esecuzione o quella agli atti esecutivi nell’ambito del procedimento di riscossione coattiva, è formulato in termini di inammissibilità delle opposizioni secondo le regole ordinarie del codice di rito: in altri termini, esclude che sia ammissibile l'opposizione all'esecuzione per il solo fatto che il contribuente opponente formuli un petitum con cui contesta il diritto dell'Amministrazione finanziaria o dell'agente della riscossione di procedere ad esecuzione forzata, come sarebbe, invece, possibile secondo il canone ordinario dell'opposizione ex art. 615 c.p.c..
In realtà, secondo il percorso argomentativo seguito dal Giudice delle leggi, in questa parte la norma censurata va raccordata con l'art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992, che demanda alla giurisdizione del giudice tributario le contestazioni del titolo (normalmente, la cartella di pagamento) su cui si fonda la riscossione esattoriale. Se il contribuente contestasse il titolo della riscossione coattiva, la controversia così introdotta apparterrebbe alla giurisdizione del giudice tributario e l'atto processuale di impulso sarebbe il ricorso ex art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, proponibile avverso "il ruolo e la cartella di pagamento".
Tuttavia, la censurata disposizione dell'art. 57, comma 1, lettera a), esprime anche un'altra norma: l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. è inammissibile non solo nell'ipotesi in cui la tutela invocata dal contribuente, che contesti il diritto di procedere a riscossione esattoriale, ricada nella giurisdizione del giudice tributario e la tutela stessa sia attivabile con il ricorso ex art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, ma anche allorché la giurisdizione del giudice tributario non sia invece affatto configurabile e non venga in rilievo perché si è a valle dell'area di quest'ultima. Il dato letterale della disposizione censurata non consente di ritenere che l'inammissibilità dell'opposizione all'esecuzione sia sancita solo nella prima ipotesi e non anche nell'altra.
Con la sentenza in commento la Corte costituzionale ha concluso che laddove la censura della parte assoggettata a riscossione esattoriale non radichi una controversia devoluta alla giurisdizione del giudice tributario e, quindi, sussista la giurisdizione del giudice ordinario, l'impossibilità di far valere innanzi al giudice dell'esecuzione l'illegittimità della riscossione mediante opposizione all'esecuzione, essendo ammessa soltanto l'opposizione con cui il contribuente contesti la mera regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura e non anche quella con cui egli contesti il diritto di procedere alla riscossione, confligge frontalmente con il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall'art. 24 Cost. e nei confronti della Pubblica Amministrazione dall'art. 113 Cost., dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva.
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