L’intermediario non è tenuto ad informare, tempo per tempo, l’investitore circa l’andamento dei titoli acquistati, in ipotesi di abbassamento del loro rating o rischio di default dell’emittente. Lo ha stabilito la I Sezione Civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17949 del 27.8.2020.
Il caso sottoposto all’esame della Corte
L’investitore conveniva in giudizio una banca innanzi al Tribunale, domandando l’accertamento della nullità delle operazioni di acquisto di obbligazioni argentine compiute nei mesi di marzo 1999, maggio 1999 e marzo 2000, e la condanna della banca al risarcimento del danno per la pretesa violazione di obblighi informativi.
Il Tribunale respingeva le domande attoree e la sentenza veniva confermata in secondo grado. In particolare, la Corte d’Appello riteneva che l’appellante avesse omesso di riproporre ogni questione riguardante il momento della stipula del contratto-quadro di intermediazione finanziaria, con la conseguenza che tale domanda non poteva essere esaminata dalla Corte.
L’investitore, ricorrente in Cassazione, con il secondo motivo censurava la sentenza impugnata, per violazione e falsa applicazione dell’art. 21 d.lgs. n. 58 del 1998, “per non avere ritenuto la banca tenuta ad adempiere ai doveri informativi anche dopo la conclusione del contratto di intermediazione, dovendo la banca, al contrario, tenere sempre informato il cliente della sua situazione finanziaria”.
Gli obblighi informativi previsti dal Testo Unico della Finanza
L’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 (c.d. “TUF”) stabilisce i criteri generali che i soggetti abilitati devono seguire nello svolgimento dei servizi e delle attività di investimento e accessori.
In particolare, la norma prevede il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati.
Inoltre, i soggetti abilitati sono tenuti ad acquisire le informazioni necessarie dai clienti e ad operare in modo tale che essi siano sempre adeguatamente informati.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto il secondo motivo proposto dall’investitore, in parte inammissibile e in parte infondato.
Segnatamente, la Corte ha ravvisato che la censura dell’investitore sia inammissibile, laddove volta a lamentare che la sentenza impugnata abbia statuito che la banca non fosse tenuta ad alcun obbligo informativo dopo la conclusione del contratto-quadro.
Giacché la Corte d’Appello si è, invece, limitata ad escludere che i titoli argentini, al momento della trasmissione degli ordini, avessero caratteristiche tali per cui la banca dovesse scoraggiare il cliente dall’investimento.
Inoltre, la censura dell’investitore è ritenuta infondata, laddove tesa a sostenere che l’intermediario sarebbe tenuto, anche al di fuori di un rapporto di gestione patrimoniale, a consigliare tempo per tempo al cliente se mantenere o cedere un prodotto finanziario. Sul punto, a sostegno della propria decisione, gli Ermellini hanno richiamato il principio di diritto, secondo cui “in materia di investimenti finanziari, gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario ai sensi dell’art. 21, 1° comma, lett. b), d.lgs. n. 58 del 1998, sono finalizzati a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli".
Sicché, conclude la Suprema Corte, "tali obblighi, al di fuori del caso del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti, vanno adempiuti in vista dell’investimento e si esauriscono con esso”.