Nessuna scriminante per i video di terzi pubblicati senza autorizzazione

Nessuna scriminante per i video di terzi pubblicati senza autorizzazione
Avv. Alessandro La Rosa Con sentenza n. 18413/2016 del 5 ottobre 2015, la Sezione Impresa del Tribunale di Roma ha recepito integralmente la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia (C-5/08, Infopaq; C-435/12, Adam BV) chiarendo in modo molto preciso entro quale ambito è operante il regime di “eccezioni e limitazioni” ai diritti autorali ex artt. 65 e 70 LDA. Ha quindi condannato l’editore della piattaforma “Repubblica.it” a corrispondere ad RTI –a titolo risarcitorio- la somma di Euro 250.000,00 oltre interessi. Dal 2012 sul portale digitale venivano pubblicati -senza la preventiva autorizzazione di RTI- 127 video estratti da vari programmi televisivi delle reti televisive “Canale 5”, “Italia 1” e “Retequattro” per circa 300 minuti di emesso. Con la sentenza in commento i giudici romani hanno chiarito che non è applicabile all’editore di un quotidiano digitale di informazione il regime di limitazione della responsabilità dei fornitori di servizi di hosting (ex artt. 14 e 15 Direttiva 2000/31/CE) in quanto l’editore “sceglie e gestisce” i contenuti che pubblica; pertanto la responsabilità va affermata secondo le comuni regole della responsabilità civile e la conseguente violazione dei diritti connessi di cui agli articoli 78 ter e 79 LDA. Lo stesso Tribunale delle Imprese di Roma ha peraltro ripetutamente affermato che il “content provider” non può beneficiare del detto regime di favore per gli ISP “neutrali” (qui le note di commento ai casi RTI c. Break Media ed RTI c. Megavideo). I giudici romani hanno chiarito che non trovano applicazione le scriminanti degli articoli 65 e 70 LDA perché trattasi di norme che rivestono natura eccezionale, che trovano applicazione solo per i casi espressamente ivi previsti (contenuti di carattere economico, politico o religioso) e solo a tutela di interessi costituzionalmente garantiti di rango pari o superiore rispetto a quelli cui derogano. In tal senso è anche la costante giurisprudenza comunitaria. Conseguentemente, le dette norme non possono trovare applicazione in relazione ai programmi di puro intrattenimento (ad esempio brani estratti da programmi come “Grande Fratello”) e non possono trovare applicazione nemmeno rispetto a contenuti di natura politica ove sia trascorso un “considerevole lasso di tempo dalla loro prima pubblicazione e non presentano il carattere della attualità”. Il danno patrimoniale è stato quantificato facendo ricorso al criterio di stima del prezzo del consenso che –afferma il Collegio giudicante- deve tenere conto non solo dei vantaggi diretti (vendita di pubblicità agganciata ai video di RTI) ma anche dei vantaggi indiretti di cui si è avvantaggiato l0’editore (maggiore appeal del servizio “video” per gli utenti di Repubblica.it). La condotta contestata da RTI è stata infine ritenuta idonea ad integrare anche l’illecito da concorrenza sleale di cui all’art. 2598 n. 3 c.c. nella fattispecie specifica della concorrenza parassitaria, dal momento che la convenuta utilizzando gratuitamente le opere televisive di RTI (senza sostenere i costi di produzione, né quelli di acquisto dei diritti di utilizzazione), in diretta concorrenza con l’attività di quest’ultima, ha conseguito un illegittimo vantaggio economico attraverso la vendita di spazi pubblicitari in associazione alla diffusione delle opere audiovisive dell’attrice così violando i principi di correttezza professionale.
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