Liceità dell’opzione put all’interno dei patti parasociali e il rapporto con il divieto di patto leonino

Liceità dell’opzione put all’interno dei patti parasociali e il rapporto con il divieto di patto leonino
Quando un’opzione c.d. put non è considerata contraria al divieto di patto leonino? La recente sentenza della Corte di Cassazione n.7934 offre importanti spunti di riflessione in merito alla liceità di un’opzione put contenuta nei patti parasociali esercitabile in occasione di un finanziamento partecipativo.

Introduzione

La sentenza della Corte di Cassazione n.7934 del 25 marzo 2024 in esame affronta il controverso e dibattuto tema circa la liceità di una convenzione parasociale contenente un’opzione put ed avente la finalità di finanziamento in forma partecipativa, con il divieto di patto leonino di cui all’art. 2265 del Codice civile, affermando la legittimità di tale accordo negoziale, come di seguito meglio dettagliato.

Per meglio comprendere la portata della pronuncia in oggetto è bene ricordare che il già menzionato art. 2265 del Codice civile, dispone la nullità del patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite. La ratio di tale previsione normativa risiede nel principio in base al quale tutti i soci debbano partecipare ai risultati dell’attività imprenditoriali svolta e alla condivisione del correlato rischio d’impresa.

L’opzione put consiste, invece, in un accordo negoziale, rinvenibile principalmente nelle operazioni di finanziamento e/o investimento (soprattutto nell’ambito del venture capital e delle startup innovative), che attribuisce al compratore il diritto di cedere la propria quota entro una data predeterminata e ad un prezzo prefissato e spesso immutabile. In tal caso, le parti oggetto dell’accordo di opzione si farebbero carico, quindi, del rischio dell’eventuale mutamento del valore delle quote pagando, dunque, un prezzo maggiore o trasferendo le quote ad un prezzo inferiore al loro valore effettivo.

Oltre al rischio economico, però, la previsione di un’opzione c.d. put a prezzo predeterminato, potrebbe essere considerata anche come un modo per escludere la parte opzionaria dal rischio della partecipazione ad eventuali utili e perdite della società “target”, precostituendosi la possibilità di disinvestire evitando il rischio d’impresa.

Il caso concreto

Nel caso affrontato, una società finanziaria che effettuava un c.d. finanziamento partecipativo, godeva di un diritto di vendita (opzione put) della partecipazione posseduta in una società a responsabilità limitata, con contestuale obbligo di acquisto della suddetta partecipazione da parte degli altri soci ad un prezzo determinato.

A tal riguardo, la Suprema Corte ha offerto un interessante spunto di riflessione circa la valutazione di meritevolezza di una clausola che conferisca il diritto di exit all’investitore consentendo allo stesso di recuperare il capitale investito evidenziando che, nel caso di specie, “la detenzione del pacchetto di partecipazione del socio finanziatore fosse temporanea e finalizzata al perseguimento degli obiettivi di ispirazione pubblicistici” e che la componente causale del patto rispondeva “ad interessi meritevoli di tutela che, oltre ad essere del tutto coerenti con quelli societari, costituivano la ragione ultima della istituzione delle finanziarie regionali, il cui apporto di denaro in prevalenza pubblico è statutariamente volto a sostenere le imprese che non potrebbero reperire sul mercato della finanza”.

Mentre, prosegue, in relazione alla deduzione della nullità dell’opzione put in quanto elusiva del divieto di patto commissorio (il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore) di cui all’art. 2744 c.c. “mostra, poi, di non misurarsi con la pronuncia impugnata, la quale, sul punto, ha rilevato non potersi dibattere di violazione del patto commissorio ove il diritto di riscatto sia attribuito al venditore, non già all’acquirente”.

Le conclusioni della Suprema Corte 

La Suprema Corte afferma, dunque, il principio secondo il quale è lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto.

L'Avv. Gianmarco Rizzo

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