La delibera che modifica lo statuto sociale di una società di capitali non è soggetta ad azione revocatoria

La delibera che modifica lo statuto sociale di una società di capitali non è soggetta ad azione revocatoria
Con la recente sentenza n. 6384/2023 del marzo scorso la Corte di Cassazione si è pronunciata su una fattispecie peculiare, come dalla stessa dichiarato “priva di precedenti sufficientemente specifici”, in merito all’esercizio dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. nei confronti degli atti endosocietari, rilevando come, nei confronti delle delibere modificative dello statuto di società di capitali, anche consortili, non possa essere esercitata l’azione pauliana.  
Il caso in esame

L’oggetto del contendere verteva sulla revocabilità ex art. 2901 c.c. di una delibera di assemblea straordinaria con la quale una società consortile, a modifica del proprio statuto, aveva deliberato che l’onere dei partecipanti di rimborsare le spese di funzionamento della società, in modo da chiudere l’esercizio senza perdite, venisse reso eventuale, sebbene la precedente formulazione lo prescrivesse come obbligatorio.

In particolare, secondo le ricorrenti in Cassazione, la dichiarata inefficacia della delibera in primo e in secondo grado minava radicalmente non solo i “principi di autonomia statutaria e di collegialità delle volontà trasfuse nelle delibere assembleari”, ma anche “la stabilità degli atti societari”. Non andava, infatti, a loro avviso accolta la tesi avversaria secondo cui la modifica statutaria doveva intendersi quale atto di rinuncia a un credito sociale, dovendo piuttosto la delibera qualificarsi come atto endosocietario insuscettibile per sua natura di essere oggetto dell’azione pauliana.

Ma come si è orientata la Suprema Corte?

L’iter della Corte di Cassazione

I Giudici di legittimità si sono principalmente focalizzati, da un lato, sull’analisi della ratio e la configurazione della personalità giuridica della società di capitali e, dall’altro, sulla valutazione nel caso di specie della sussistenza o meno di un atto di disposizione del patrimonio rientrante nelle maglie dell’art. 2901 c.c. suscettibile di essere dichiarato inefficace.   

Il primo aspetto appariva, infatti, fondamentale nell’ottica di analizzare i requisiti di applicazione dell’azione revocatoria laddove il debitore non sia una persona fisica, ma una persona giuridica, nello specifico una società di capitali. Come appunto rilevato dalla Corte, la società di capitali configura una vera e propria soggettività artificiale il cui fine, per coloro che l’hanno costituita, è creare uno schermo giuridico in grado di “perimetrare le dimensioni del rischio assunto, disinnescando l’istituto della garanzia patrimoniale generale (presidiato, in primis (…) proprio dall’azione pauliana)”. In tale ottica, al fine di delineare un equilibrio tra l’interesse dei soci a mantenere lo schermo giuridico a limitazione della propria responsabilità e l’interesse dei creditori della società, e dei soci stessi, al corretto funzionamento della società, l’attività endosocietaria “è oggetto di una specifica struttura di tutela normativa”; tale tutela, se, da un lato, non esclude in assoluto la proponibilità dell’azione revocatoria nei confronti della società, dall’altro, la esclude in relazione agli atti endosocietari, tali essendo considerati quelli che non sprigionano effetti esterni. Ammettere, quindi, la possibilità che un atto endosocietario – che per sua natura, interna, “si fonda sulla finalità/essenza di schermo” della società e “consente ai soggetti schermati di governarl(a) – venga aggredito dai creditori della società oltre i limiti e gli strumenti ammessi dal legislatore, equivarrebbe a svuotare e a rendere priva di effetti la personalità giuridica della società, o, in altre parole, a renderla tamquam non esset.

Con riferimento poi al secondo aspetto, quandanche, ad opinione della Suprema Corte, si volesse ritenere che l’azione revocatoria sia esperibile contro la delibera modificativa dello statuto, tale azione non sarebbe sorretta da alcun interesse. Infatti, secondo i Giudici di legittimità il modificato testo statutario, così come peraltro anche il precedente, non esplica di per sé alcun effetto pregiudizievole verso l’esterno, essendo in ogni caso richiesta l’approvazione del bilancio quale presupposto necessario per l’esercizio della clausola modificata: in altri termini, la delibera modificativa dello statuto non può di per sé costituire un atto dispositivo pregiudizievole per i creditori, non essendo, al momento della modifica, ancora stato approvato il bilancio, necessario per dare esecuzione verso l’esterno alla clausola statutaria.    

La decisione della Suprema Corte   

Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione non ha dubbi e il primo motivo di ricorso appare fondato per irrevocabilità della delibera di modifica statutaria. Attenzione, dunque, a cosa si delibera e a cosa specularmente si intende aggredire: l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. non può, infatti, esercitarsi contro gli atti endosocietari che, come le suddette delibere, non hanno “effetti esterni in termini di incidenza sulla garanzia patrimoniale generale”, ma vengono “compiuti unicamente per la gestione dell’attività del soggetto giuridico”.  

Avv. Francesca Folla

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