La Cassazione fa il punto sulle prove digitali

La Cassazione fa il punto sulle prove digitali
La Corte di Cassazione penale (con sentenza n. 38678/2023) ha affrontato un tema particolarmente caro al diritto processuale (civile e penale), ovvero la valenza probatoria dei messaggi Whatsapp e degli sms in giudizio.

La vicenda

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione penale ha respinto il ricorso di una donna, che in primo grado accusava il marito di maltrattamenti in famiglia (ex art. 61 n. 11-quinquies e 572 c.p.), con la formula “il fatto non sussiste”, ritenendo che la produzione documentale dell’imputato facesse dubitare della fondatezza dell’accusa.

Nel caso di specie il marito accusato del reato aveva infatti prodotto la copia (in formato word) di alcune conversazioni su whatsapp che mostravano un rapporto fra i coniugi e un rapporto dell'imputato con i figli antitetico rispetto a quello al quale si riferivano le accuse mossegli.

La Corte d’Appello, nonostante i documenti prodotti fossero una mera copia dei messaggi originali, ne ha riconosciuto la valenza probatoria ritenendo che la stampa del file originale estratto dalla conversazione su Whatsapp fosse idonea a fondare un giudizio di assoluzione.

La moglie proponeva così ricorso contro la pronuncia d’appello; tuttavia, la contestazione della ricorrente non muoveva dal contenuto dei messaggi, bensì dall’asserita illegittimità della trascrizione degli stessi, utilizzati come fonte di prova del convincimento del giudice a favore del marito.

La decisione della Corte: la prova digitale e il documento in copia

Nel caso di specie la Corte di Cassazione – dopo aver affermato l’applicabilità dell’art. 234 c.p.p. non sussistendo la fattispecie di captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì la mera documentazione ex post di detti flussi e ritenendo pertanto che, né la disciplina delle intercettazioni ex art. 266 bis. c.p.p., né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza ex art. 254 c.p.p., dovessero trovare applicazione – ha ritenuto pienamente utilizzabile la trascrizione delle conversazioni via Whatsapp senza dar seguito alla richiesta di parte attrice circa la necessità di acquisire il supporto telematico contenente la chat, poiché la difesa di parte civile, anziché contestarne il contenuto, si limitava a chiedere una perizia della loro provenienza in ossequio alle linee-guida sulla digital forensic dettate dallo standard ISO/IEC 27037.

La Corte con la sentenza in commento ha dato seguito all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, in relazione al principio per cui, ai fini dell’utilizzabilità della trascrizione delle conversazioni via Whatsapp effettuate dalla persona offesa, la necessità di acquisire il supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione deve essere valutata in concreto, tenendo conto della credibilità della persona offesa e dell’attendibilità delle sue dichiarazioni accusatorie (ex multis, Cass. Pen. Sez. v, n. 2658 del 6.10.2021). Nel caso di specie la circostanza che non fosse stata mossa alcuna contestazione in relazione al contenuto dei messaggi è stato ritenuto un elemento idoneo ad applicare la disciplina della produzione digitale, ancorché il documento prodotto fosse una copia cartacea dell’originale (segnatamente di una trascrizione su un file word della chat) e non una riproduzione fotografica di messaggi Whatsapp ex art. 234 c.p.p.

La prova digitale e il documento in copia

La pronuncia merita un approfondimento in quanto affronta il tema relativo alla prova digitale e in particolare alla legge n. 48/2008 che ha modificato il codice penale e il codice di procedura penale in relazione alla c.d. digital evidence.

Secondo la definizione presente nella Electronic Evidence Guide (stilata nell’ambito del progetto CyberCrime@IPA), la prova informatica identifica “l’insieme dei dati e delle informazioni che derivano da dispositivi elettronici e le relative periferiche, le reti di computer, i telefoni cellulari, le fotocamere digitali o altri dispositivi mobili […], ovvero informazioni generate, memorizzate o trasmesse mediante dispositivi elettronici che possono essere utilizzate in giudizio”.

Il legislatore, con la legge 18 marzo 2008 n. 48 di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica ha introdotto una disciplina specifica in tema di acquisizione degli elementi di prova digitali; in particolare sono state introdotte le c.c.d.d. best practices sull’attendibilità della prova digitale (applicabili anche nel giudizio civile - Tribunale Napoli, sez. lavoro, Ordinanza 29/04/2014), la cui mancata osservanza determina alcune conseguenze sull’attendibilità della prova.

Nella prassi è frequente l’ingresso nell’ambito di determinati procedimenti di screenshot estratti da chat su whatsapp o altri social network, veicolati attraverso la stampa del file (come nel caso oggetto della pronuncia in commento). In questi casi, mancando qualsivoglia garanzia di autenticità o provenienza, la prova è inevitabilmente esposta a un giudizio di inattendibilità.

Infatti, l’art. 234 c.2 c.p.p. dispone che i documenti in senso stretto (formati fuori dall’ambito processuale) debbano essere acquisiti ed utilizzati in originale, consentendo l’acquisizione in copia solo nelle ipotesi in cui non sia possibile l’acquisizione in originale.

Su questo punto la giurisprudenza è divisa: se da un lato alcune pronunce escludono l’ammissibilità dell’acquisizione in copia quando non venga accertata l’irrecuperabilità del documento, attesa la natura volatile delle informazioni e l’incertezza della paternità del documento (ex multis Cass. pen., Sez. V, 01/10/2010, n. 35511, Rv. 248507, Cass. civ., Sez. lav, 16/02/2004, n. 2912), gli arresti giurisprudenziali più recenti fanno, al contrario, leva sull’assenza di sanzioni processuali in caso di mancata osservanza dei protocolli di acquisizione degli elementi di prova digitale, affermando che la copia cartacea di una schermata telematica sia soggetta alla libera valutazione del giudice.

Tale interpretazione vuole porsi nel solco della volontà del legislatore con la l. 48/2008 che, in ordine alle prove atipiche, ha cambiato impostazione rispetto al passato, operando una scelta intermedia tra ammissibilità o meno delle stesse: senza escludere a priori l’utilizzabilità delle prove atipiche, viene rimesso al giudice il compito di valutarne l’ammissibilità anche in riferimento all’importanza che di volta in volta la prova può assumere nella fattispecie concreta.

Avv. Eleonora Carletti

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