Avv. Francesca Frezza
Con provvedimento del 26 luglio 2017 la dott.ssa Cosentino del Tribunale Civile di Roma, su istanza formulata dall’Avv. Carlo de Marchis, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 7, lettera c) L. n. 183/2014 e degli artt. 2, 4 e 10 del D.Lgs. 23/2015, per contrasto con gli artt. 3, 4, 76 e 117, comma 1, della Costituzione.
Il fatto trae origine da un ricorso promosso da una lavoratrice e avente ad oggetto l’impugnativa di un licenziamento irrogatole il 15.12.2015 dopo pochi mesi dall’assunzione, avvenuta formalmente il 11.5.2015, e basato su questa motivazione: “a seguito di crescenti problematiche di carattere economico-produttivo che non ci consentono il regolare proseguimento del rapporto di lavoro, la Sua attività lavorativa non può più essere proficuamente utilizzata dall’azienda. Rilevato che non è possibile, all’interno dell’azienda, reperire un’altra posizione lavorativa per poterLa collocare, siamo costretti a licenziarLa per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604”.
La normativa applicabile al caso di specie è costituita dagli artt. 3 e 4 del D. Lgs. n. 23/2015 (c.d. Jobs Act) in quanto la ricorrente è stata assunta dopo il 7 marzo 2015 (per gli assunti fino a quella data, la tutela avverso il licenziamento illegittimo è costituita dall’art. 18 della legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012).
Il Giudicante, nel provvedimento di rimessione degli atti al giudizio della Corte Costituzionale, precisa quanto segue: “Ritiene il giudice che, a fronte della estrema genericità della motivazione addotta e della assoluta mancanza di prova della fondatezza di alcune delle circostanze laconicamente accennate nell’espulsione, il vizio ravvisabile sia il più grave fra quelli indicati, vale a dire la “non ricorrenza degli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” (nel linguaggio del legislatore del 2015), ovvero la “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.
In sintesi, se fosse stata assunta prima del 7 marzo 2015, la ricorrente avrebbe goduto della tutela reintegratoria e di una indennità commisurata a dodici mensilità (essendo trascorsi oltre 12 mesi fra l’espulsione e la prima udienza), ovvero, applicando il comma 5 dell’art. 18, della sola tutela indennitaria fra le 12 e le 24 mensilità; mentre, per essere stata assunta dopo quella data, ha diritto soltanto a quattro mensilità, e solo in quanto la contumacia del convenuto consente di ritenere presuntivamente dimostrato il requisito dimensionale, altrimenti le mensilità risarcitorie sarebbero state due.
Anche nel caso si ravvisasse un mero vizio della motivazione, la tutela nel vigore dell’art. 18 sarebbe stata molto più consistente (6-12 mensilità risarcitorie a fronte di 2).
Questo giudice ritiene che non si possa dubitare, per quanto esposto, della rilevanza della questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 7, lettera c) L. n. 183/2014 e degli artt. 2, 4 e 10 D.Lgs. n. 23/2015: l’innovazione normativa in parola priva infatti l’odierna ricorrente di gran parte delle tutele tuttora vigenti per coloro che sono stati assunti a tempo indeterminato prima del 7.3.2015. La normativa preclude qualsiasi discrezionalità valutativa del giudice, in precedenza esercitabile ancorché ancorata ai criteri di cui all’art. 8 della legge n. 604/1966 e all’art. 18 dello Statuto come novellato dalla legge n. 92/2012, imponendo al medesimo un automatismo in base al quale al lavoratore spetta, in caso di accertata illegittimità del recesso, la piccola somma risarcitoria prevista.
La non manifesta infondatezza della questione emerge pianamente dalle considerazioni che seguiranno, incentrate sul ritenuto contrasto della normativa con:
- A) L’art. 3 della Costituzione, in quanto l’importo dell’indennità risarcitoria disegnata dalle norme del c.d. “Jobs Act” non riveste carattere compensativo né dissuasivo ed ha conseguenze discriminatorie; ed inoltre in quanto l’eliminazione totale della discrezionalità valutativa del giudice finisce per disciplinare in modo uniforme casi molto dissimili fra loro;
- B) L’art. 4 e l’art. 35 della Costituzione, in quanto al diritto al lavoro, valore fondante della Carta, viene attribuito un controvalore monetario irrisorio e fisso;
- C) L’art. 117 e l’art. 76 della Costituzione, in quanto la sanzione per il licenziamento illegittimo appare inadeguata rispetto a quanto statuito da fonti sovranazionali come la Carta di Nizza e la Carta Sociale, mentre il rispetto della regolamentazione comunitaria e delle convenzioni sovranazionali costituiva un preciso criterio di delega, che è stato pertanto violato.
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