Invalide le dimissioni rassegnate dal dipendente in un momento di turbamento psichico tale da impedire la formazione di una volontà cosciente

Invalide le dimissioni rassegnate dal dipendente in un momento di turbamento psichico tale da impedire la formazione di una volontà cosciente
Avv. Francesca Frezza Devono essere annullate le dimissioni rassegnate dal dipendente esposto, a causa del forte stress subito nell’ambiente lavorativo, ad una condizione transitoria di notevole turbamento psichico, che impedisca la formazione di una volontà cosciente e consapevole sulle effettive conseguenze che derivano dalla rinunzia al posto di lavoro. A precisarlo è la Corte di Cassazione con sentenza n. 30126 del 21 novembre 2018 investita della questione a seguito del ricorso promosso da un ex dipendente di un ente comunale, che chiedeva l’annullamento delle dimissioni, in quanto rassegnate, in un momento di forte alterazione emotiva, causata da una condizione dell’ambiente lavorativo connotata da stress e insoddisfazione. In primo e secondo grado, la predetta domanda veniva rigettata, sul presupposto che per la dichiarazione di invalidità delle dimissioni era necessaria una totale esclusione della capacità psichica e volitiva. Il lavoratore adiva la Corte sul presupposto che per la giurisprudenza di legittimità ai fini dell’art. 428 cod. civ. non è necessaria la totale esclusione della capacità psichica e volitiva essendo sufficiente un turbamento psichico che menomi la suddetta capacità e, peraltro, il CTU aveva concluso proprio nel senso della sussistenza di tale situazione. La Suprema Corte nell’accogliere il ricorso, richiamando i principi espressi in relazione alla fattispecie prevista dall’art. 428 cod. civ., precisa che gli stessi trovano applicazione anche in caso di domanda di annullamento dell’atto di dimissione del lavoratore dal rapporto di lavoro (vedi: Cass. 14 maggio 2003 n. 7485, cit.), con alcune puntualizzazioni quanto alle peculiari caratteristiche dell’atto e alle conseguenze del suo possibile annullamento. In particolare, precisa la Corte: “Ai fini della sussistenza di una situazione di incapacità di intendere e di volere (quale prevista dall’art. 428 c.c.), costituente causa di annullamento del negozio, non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente un turbamento psichico tale da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’importanza dell’atto che sta per compiere. Peraltro, laddove si controverta della sussistenza di una simile situazione in riferimento alle dimissioni del lavoratore subordinato, il relativo accertamento deve essere particolarmente rigoroso, in quanto le dimissioni comportano la rinuncia al posto di lavoro – bene protetto dagli artt. 4 e 36 Cost. – sicchè occorre accertare che da parte del lavoratore sia stata manifestata in modo univoco l’incondizionata e genuina volontà di porre fine al rapporto stesso”.
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