Indurre in errore il lavoratore rende annullabile la transazione sindacale

Indurre in errore il lavoratore rende annullabile la transazione sindacale
Avv. Francesca Frezza La Corte di Cassazione, 30 marzo 2017 n. 8260 ha affermato che “il silenzio malizioso” della società che intende sostituire il lavoratore nella posizione dichiarata in esubero configurava “un raggiro”. Una azienda nell’ambito di una procedura di mobilità indicava tra gli esuberi il profilo professionale e la specifica posizione di lavoro di un dipendente che, ricevuta la lettera di licenziamento, sottoscriveva una transazione sindacale con la quale accettava la risoluzione del rapporto. Dopo la stipula dell’accordo l’azienda, tuttavia, provvedeva ad assumere un altro lavoratore per la medesima posizione di lavoro del dipendente collocato in mobilità. Il lavoratore, accortosi della sostituzione, adiva quindi il Tribunale di Milano al fine di vedere annullare la transazione per vizio del consenso e, conseguentemente, impugnare il licenziamento. La domanda veniva respinta dal Tribunale di Milano con sentenza confermata in sede di appello. La Corte di Cassazione ha, viceversa, accolto il ricorso del lavoratore rilevando che “il silenzio malizioso” della società che intendeva sostituire il lavoratore nella posizione dichiarata in esubero configurava “un raggiro”. Nell’annullare la sentenza della Corte di Appello ambrosiana i giudici di legittimità, richiamando un precedente della sezione penale, hanno rilevato che il silenzio serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, costituisce per l’ordinamento penale, elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo. La Suprema Corte quindi ha quindi affermato che il silenzio mantenuto da una delle parti in ordine a situazioni di interesse della controparte e la reticenza, qualora l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato con malizia o astuzia a realizzare l’inganno perseguito, determinandone l’errore del deceptus, integrano gli estremi del dolo omissivo rilevante ai  sensi dell’art. 1439 c.c.. Nel cassare la sentenza la Cassazione ha inoltre concluso precisando che la valutazione della condotta deve infine essere valutata in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità ed alle condizioni soggettive dell’altra parte onde stabilirne l’idoneità a sorprendere una persona di normale diligenza solo potendo l’affidamento ricevere una tutela giuridica se fondato sulla negligenza.
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