Il Tribunale di Spoleto nell’accogliere un ricorso avverso un licenziamento per giusta causa dichiarava illegittimo il licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore che si era avvalso di 4 ore e mezzo di permessi ex L. 104/1992 per attività strumentali e complementari all'assistenza vera e propria del familiare disabile consistenti nel recarsi presso l'abitazione materna per recuperare effetti personali della persona assistita e nel recarsi con la figlia al pranzo di una zia. Il Tribunale accoglieva la domanda sul presupposto che si configura un abuso del diritto soltanto nel caso in cui il lavoratore utilizzi il permesso per dedicarsi ad attività di carattere ludico e personale non riconducibili neppure indirettamente all'attività di assistenza intesa in senso ampio.
La Corte di Appello di Perugia, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva, invece, che l’abuso del diritto di cui all’art. 3 della L. 104/1992 si configuri ogni qual volta che l’assenza dal lavoro non si ponga in relazione causale diretta con la ratio di assistenza del familiare disabile, non potendo, quindi, detti permessi essere utilizzati in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza.
La Suprema Corte con ordinanza n. 16973 del 25 maggio 2022 nel respingere il ricorso e confermare la pronuncia della Corte distrettuale, ha ribadito che il concetto di assistenza di cui alla legge 104/1992 può essere interpretato in via estensiva tanto da ricomprendere non solo le attività di accudimento, ma anche lo svolgimento di incombenze di tipo burocratico e amministrativo, purché si tratti di attività svolta nell'interesse del familiare assistito.
E’ legittimo, quindi, il licenziamento per giusta causa intimato nei confronti del lavoratore che fruisce dei permessi ex L. 104/1992 per svolgere attività solo indirettamente collegabile all'esigenza di assistenza del disabile in quanto priva il datore di lavoro della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente.
Avv. Nicoletta Di Lolli