Sempre più frequentemente, nel contesto del contenzioso giuslavoristico, i lavoratori dipendenti avvertono l’esigenza di effettuare registrazioni di riunioni o di conversazioni con il proprio datore di lavoro, all’insaputa di quest’ultimo, attraverso appositi supporti informatici, come telefoni cellulari e registratori, allo scopo di garantire a se stessi idonei mezzi di prova. Ciò comporta l’insorgere di un annoso quesito: prevale il diritto di difesa o il diritto alla riservatezza?
La giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto di dover risolvere il conflitto, nella maggior parte dei casi, contemperando gli interessi in gioco in favore del diritto alla difesa giudiziale del titolare del trattamento/lavoratore, con conseguente compressione del diritto alla riservatezza.
Un punto di vista, in parte diverso – che, tuttavia, necessita di adeguata contestualizzazione – emerge dalla recente sentenza del Tribunale di Venezia, depositata lo scorso 2 dicembre.
Il caso e l’applicabilità del GDPR
Il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 2286 del 2 dicembre 2021 si è espresso sulla liceità dell’utilizzo in giudizio di una registrazione audio effettuata da un soggetto terzo per fini probatori.
In particolare, due dei tre convenuti in giudizio avevano prodotto, quali prove contro il loro datore di lavoro, l’audio della registrazione di una riunione aziendale, rectius professionale – realizzata concretamente da un collega estraneo alla causa – a cui i predetti lavoratori non avevano peraltro partecipato.
Innanzitutto, i giudici hanno rilevato che, ai fini della risoluzione della controversia, fosse necessaria l’applicazione del Regolamento UE 2016/679 (“GDPR”), in quanto la registrazione integra un “trattamento interamente o parzialmente automatizzato di dati personali e al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti in un archivio o destinati a figurarvi” (art. 2 del GDPR), non rientrante, pertanto, nell’eccezione di cui alla lettera c) del comma 2 dello stesso articolo, che riguarda i trattamenti di dati personali “effettuati da una persona fisica per l'esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico”. Il Considerando 18, afferma, infatti che, da un lato, le attività a carattere esclusivamente personale o domestico sono quelle “senza una connessione con un'attività commerciale o professionale”; dall'altro, che “le attività a carattere personale o domestico potrebbero comprendere la corrispondenza e gli indirizzari, o l'uso dei social network e attività online intraprese nel quadro di tali attività”.
Circostanze, quindi, che nell’ipotesi in esame, non ricorrono.
L’iter argomentativo del Tribunale si snoda, poi, attraverso la valutazione della liceità della base giuridica per il trattamento in esame, considerato che l’articolo 21 del GDPR statuisce che il diritto di opposizione al trattamento dei dati personali che riguardano l’interessato non possa essere dallo stesso esercitato, qualora il titolare del trattamento “dimostri l'esistenza di motivi legittimi cogenti per procedere al trattamento che prevalgono sugli interessi, sui diritti e sulle libertà dell'interessato oppure per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria”. Il trattamento di dati personali per finalità di accertamento e/o esercizio di un diritto è espressione del legittimo interesse del titolare del trattamento; dunque, in caso di insussistenza di detto interesse, il trattamento deve ritenersi illecito per mancanza di una delle sue basi giuridiche (art. 6, comma 1, lett. f) del GDPR).
Ebbene, nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che il trattamento de quo dovesse considerarsi illecito per almeno due ordini di ragioni. La prima: la registrazione audio era stata effettuata da un soggetto terzo, che non era titolare di una specifica esigenza difensiva, quindi di un legittimo interesse al trattamento; la seconda: il trattamento non può essere considerato pertinente – principio della “limitazione della finalità”, art. 5, par. 1, lett. b) del GDPR – poiché, all’epoca della riunione, tenutasi, tra l’altro, ben due anni prima del giudizio, non sussisteva alcun “contesto litigioso e/o una parvenza di pregiudizio subito”.
Conclusioni
Alla luce del su esposto ragionamento, il Tribunale di Venezia, ritenendo illecito il trattamento dei dati personali in esame, ha disposto la cancellazione e la distruzione della registrazione audio, comminando altresì ai convenuti una sanzione pecuniaria – pari ad euro 5.000 ciascuno – ai sensi degli articoli 58 e 83 del GDPR.
Avv. Rossella Bucca e Dott.ssa Micol Sabatini