Quando la raccolta di opere in uno “studio metodologico” può violare il diritto d’autore

Quando la raccolta di opere in uno “studio metodologico” può violare il diritto d’autore
Per la Cassazione  la violazione dei diritti autorali di terzi sussiste allorché la riproduzione dei lavori è integrale e non limitata a scopi estranei a quelli di sfruttamento economico delle opere. Per godere del regime delle libere utilizzazioni, detta riproduzione deve essere strumentale agli scopi di critica e di discussione, in rapporto di non concorrenza con l’utilizzazione economica dell’opera che compete al titolare del diritto.
Il caso

Con ordinanza 8 febbraio 2022, n. 4038, la Cassazione fornisce importanti chiarimenti in merito al caso in cui la raccolta di opere di un artista in uno studio metodologico possa configurare violazione del diritto d’autore.

La vicenda trae origine dal contenzioso azionato dagli eredi di un rinomato pittore italiano contro l’omonima Fondazione a cui era stato conferito il compito di conservare e tutelare l’opera del defunto artista. All’ente, che nel tempo ha costituito un importante archivio delle opere dell’autore, non è stato mai concesso di utilizzare il nome dell’artista nella sua denominazione né di presentarsi come unico soggetto autorizzato a certificare l’autenticità delle opere ad esso attribuite.

Nonostante ciò, la Fondazione ha pubblicato in collaborazione con un’Università un’opera in sei volumi denominata Studio metodologico, avente ad oggetto la catalogazione informatica dei dati relativi alle opere del pittore presenti nell’archivio dell’ente. Gli eredi dell’artista hanno quindi denunciato la violazione dei diritti d’autore sulle opere riprodotte, contestando il perdurante illecito sfruttamento del nome dell’autore e l’usurpazione delle prerogative derivanti dai diritti morali sulle opere stesse. In sintesi, la Corte di merito ha osservato che la pubblicazione doveva ritenersi legittima. Ha ipotizzato come, in tema di opere figurative, la norma sulle libere utilizzazioni di cui all’art. 70 LdA “si risolva nel divieto di riproduzione per intero dell’opera dell’artista” e ha poi affermato che quanto realizzato consisteva in “un’opera informatica e non di critica artistica”, trattavasi, in particolare, di uno studio di catalogazione informatica, non avente la finalità di consentire la fruizione artistica della riproduzione delle opere, attuata con la creazione di copie di piccole dimensioni. La Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo l’uso da parte della Fondazione del nome dell’autore, in ordine al quale è stata pronunciata anche l’inibitoria, ed ha condannato l’ente al risarcimento del danno non patrimoniale. E’ stato inoltre osservato che la pubblicazione dello Studio metodologico doveva ritenersi legittima, in quanto, in tema di opere figurative, l’art. 70 LdA si risolve nel divieto di riproduzione per intero dell’opera dell’artista. In questo caso è stato accertato che quanto realizzato dalla Fondazione consisteva in uno studio di catalogazione informatica non avente finalità di consentire la fruizione artistica della riproduzione delle opere che veniva attuata attraverso la creazione di copie di piccole dimensioni. Secondo quanto sostenuto dalla Corte di merito, le finalità di ricerca dello studio risultavano evidenti anche in ragione della partecipazione di una Università. Il Giudice d’appello ha dunque negato che l’opera fosse stata realizzata per finalità lucrative e quindi che, nel caso di specie, non ci si trovasse di fronte ad uno sfruttamento economico delle opere. Conseguentemente, gli eredi dell’artista hanno proposto ricorso per cassazione, contestando in particolare la violazione e l’errata applicazione di quanto disposto dall’art. 70 del Legge n. 633/1941, oltre che degli artt. 12, 13, 17 e 18, comma 3 ritenendo non violate le facoltà di utilizzazione esclusiva di riproduzione, pubblicazione in raccolta e distribuzione. In risposta la Fondazione, con controricorso, ha contestato la violazione e l’errata applicazione dell’art. 2056 c.c. e dell’art. 1226 c.c. in relazione alla condanna al risarcimento del danno non patrimoniale.

I principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione

La Corte, richiamando l’art. 70 della Legge n. 633/1941, ha sottolineato che la norma consente la riproduzione parziale delle opere dell’ingegno, implicando che le opere dell’arte figurativa possano essere riprodotte solo parzialmente e non nella loro integrità. La riproduzione di opere d’arte inserite, nel caso di specie, nel catalogo di una mostra, allorché sia integrale e non limitata a particolari delle opere medesime, a prescindere dalla scala adottata nella proporzione rispetto agli originali, non costituisce alcuna delle ipotesi di utilizzazione libera previste in via di eccezione al regime ordinario dell’esclusiva di cui all’art. 70 della Legge n. 633/1941 (si veda Cass. Civ., sez. I, 19.12.1996, n. 11343). Il nesso di strumentalità previsto dalla normativa impone pertanto di verificare se la riproduzione posta in atto non sia eccedente rispetto ai fini indicati dall’art. 70 della Legge n. 633/1941.

E’ stato ritenuto infatti che il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera o la loro comunicazione al pubblico devono essere strumentali agli scopi di critica o di discussione dell’utilizzatore, così come previsto anche dall’art. 10 della Convenzione di Unione di Berna.

La libertà di utilizzazione si giustifica essenzialmente con la circostanza che l’opera di critica e di insegnamento ha fini del tutto autonomi e distinti da quelli dell’opera citata, i cui frammenti riprodotti non creano una neppur potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all’autore (cfr. Cass. Civ., sez. I, 07.03.1997, n. 2089). Ne discende dunque che la riproduzione fotografica, in scala, di opere protette, è idonea a porsi in concorrenza con i diritti di sfruttamento che competono al titolare del diritto.

Dott.ssa Manuela Fogli

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