Non solo i gestori dei motori di ricerca, ma anche i responsabili delle testate giornalistiche o di archivi giornalistici accessibili tramite Internet possono essere obbligati a deindicizzare gli articoli pubblicati sul web.
Con Sentenza del 25 novembre 2021 (Bianciardi c. Italia), la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (“CEDU”) ha respinto il ricorso presentato contro la Repubblica italiana, ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (la "Convenzione"), dal caporedattore di un quotidiano online, ritenuto responsabile in sede civile per non aver deindicizzato un articolo che riportava la notizia di una rissa, seguita da un accoltellamento, all’interno di un ristorante. L’articolo, pubblicato il 29 marzo 2008, riferiva della chiusura del ristorante e del coinvolgimento dei proprietari, citando i loro nomi e le conseguenze penali che ne erano derivate. Il 6 settembre 2010, esercitando il loro diritto all’oblio, i soggetti coinvolti inviavano una diffida stragiudiziale al quotidiano, chiedendo la rimozione dell'articolo da Internet e la sua deindicizzazione, senza risultato. Un mese dopo, presentavano ricorso ex art. 702 bis c.p.c. al Tribunale di Chieti, ai sensi dell'articolo 152 del decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003. Solo all'udienza del 23 maggio 2011, il resistente indicava di aver deindicizzato l'articolo oggetto di causa.
Ciò nonostante, Il Tribunale ha ritenuto che il trattamento dei dati personali non fosse stato conforme agli articoli 11 e 15 del Codice Privacy, almeno a partire dalla data d'invio della diffida, dunque per circa 8 mesi, e ha riconosciuto dovuto il risarcimento del danno di natura non patrimoniale, stante la facilità di accesso al medesimo durante detto arco temporale; decisione poi confermata anche dalla Suprema Corte.
La CEDU è stata quindi chiamata a pronunciarsi sulla violazione dell’art. 10 della Convenzione (sulla libertà di espressione), con particolare riferimento all'obbligo di deindicizzazione in capo ai responsabili delle testate giornalistiche, ovvero in termini di durata e facilità di accesso ai contenuti (come già fatto in passato, cfr. Delfi AS c. Estonia, Savva Terentyev c. Russia, Kablis c. Russia e Times Newspapers Ltd c. Regno Unito) e non alla loro semplice conservazione su Internet.
La Corte ha posto l’attenzione sui seguenti profili: il periodo in cui l'articolo è rimasto online, l'impatto che ha avuto sulla reputazione dell’interessato, la natura dell'interessato stesso, ovvero un privato cittadino che non svolge alcun ruolo pubblico e la gravità della sanzione imposta al ricorrente.
Nonostante il ricorrente avesse evidenziato che il procedimento penale riportato nell’articolo oggetto di causa fosse ancora in corso alla data in cui è stata emessa la sentenza della Corte di Cassazione, non potendosi pertanto ritenere eccessivo il periodo di tempo in cui le informazioni erano rimaste pubblicate e dunque inesistente il diritto all’oblio, la CEDU ha evidenziato che le informazioni contenute nell'articolo non erano state aggiornate dopo il verificarsi dei fatti, censurando quindi la mancata immediata deindicizzazione dell'articolo a seguito della richiesta dell’interessato.
Tenuto altresì conto della natura giudiziaria dei dati trattati, ha ritenuto non eccessivo l’importo del risarcimento concesso, pari ad euro 5.000 per i danni non patrimoniali subiti da ciascun attore.
La CEDU ha quindi concluso che l’accertata violazione, da parte dei giudici italiani, della reputazione di un soggetto privato causata dalla continua presenza su Internet dell'articolo oggetto di causa e della sua mancata deindicizzazione, costituisce una restrizione giustificabile della libertà di espressione, tanto più in considerazione del fatto che nessun obbligo è stato imposto al ricorrente di rimuovere definitivamente l'articolo da Internet.
Avv. Ginevra Proia