Il fenomeno del reshoring

Il fenomeno del reshoring
Un’inversione di tendenza

Nella seconda metà del secolo scorso si è assistito, in Italia così come nei principali Paesi occidentali, a una massiva e crescente delocalizzazione delle produzioni. Le ragioni sottostanti a questa strategia di offshoring erano molteplici, tutte riconducibili, nella sostanza, all’esigenza delle aziende di ridurre i costi della produzione, trasferendone alcune fasi in paesi con manodopera a basso costo e con scarsa sindacalizzazione, aliquote fiscali vantaggiose e costi energetici contenuti. Una scelta così strutturata consentiva a molte imprese di aumentare significativamente la capacità produttiva e – a fronte di costi della produzione estremamente bassi – generare maggiori ricavi.

Tuttavia, il periodo post crisi 2008 ha visto numerose aziende operare una scelta diametralmente opposta, ossia riportare all’interno dei confini nazionali la fase produttiva in precedenza delocalizzata in altri Paesi. Tale inversione di tendenza ha dato luogo al fenomeno del reshoring, verificatosi in misura diffusa e globale principalmente per due ordini di ragioni: da un lato le esigenze di mercato, dove i consumatori (in alcuni settori, come quello dell’abbigliamento) adottano scelte di acquisto sempre più orientate verso prodotti con elevati standard qualitativi, difficilmente raggiungibili con produzioni massive; dall’altro lato il mutamento del contesto socio-economico di molti Paesi dove le aziende avevano delocalizzato la produzione, in cui si è registrato un aumento del costo della manodopera, del carburante, delle materie prime, con una conseguente riduzione del differenziale dei costi totali di produzione tra il paese di origine dell’azienda e quello di (de)localizzazione della produzione.

L’interesse verso il reshoring

Gli Stati Uniti costituiscono il Paese in cui si è maggiormente verificato il rimpatrio delle produzioni, soprattutto tra il 2010 e il 2018. Qui gli elementi che hanno favorito la crescita di tale fenomeno non sono esclusivamente economico-aziendali, ma altresì di natura legislativa. Le revisioni del Buy American Act (legge originariamente emanata nel 1933) hanno contribuito a rafforzare la posizione sul mercato dei beni “made in America”, i quali risultano pertanto preferiti rispetto a quelli prodotti all’estero, in ragione degli obblighi di acquisto – prescritti dalla predetta normativa – di beni prodotti negli Stati Uniti nell’ambito di opere finanziate, anche solo parzialmente, da fondi federali. A tale normativa si aggiungono poi vari provvedimenti adottati (ad esempio il Blueprint for an America built to last del 2012) con cui sono state previste riduzioni delle imposte sul reddito d’impresa, nonché sussidi per sostenere i costi sostenuti in fase di relocalizzazione interna.

All’interno del contesto statunitense, certamente sotto una spinta politico-legislativa volta a incentivare la produzione interna, è possibile riscontrare come anche alcune organizzazioni di settore rivolgano la loro attenzione verso il reshoring. È il caso dell’organizzazione no profit Coalition for a Prosperous America (CPA) che ha ideato un indice (CRI – CPA Reshoring Index) volto a misurare l’andamento dell’industria manifatturiera nazionale rispetto all’importazione di beni equivalenti. Tale indicatore si focalizza sul successo o insuccesso del settore manifatturiero nel guadagnare quote di mercato interno. Dopo alcuni anni di costante perdita della produzione statunitense nel settore manifatturiero rispetto all’importazione di beni equivalenti, a partire dal 2019 l’indice CRI è risultato positivo, e ciò grazie ad una maggiore produzione interna, accostata ad una diminuzione dell’importazione di beni dello stesso genere.

Per quanto concerne l’area europea, nonostante a livello normativo sia comunitario sia interno (salvo qualche eccezione) non siano stati adottati interventi organici e fortemente incentivanti in materia di reshoring al pari di quelli statunitensi, alcuni studi (come quello realizzato dallo European Reshoring Monitor nel 2018) hanno comunque rilevato più di 800 esempi nel primo ventennio del XXI secolo, evidenziando che tra le aree in cui erano state originariamente delocalizzate le produzioni l’Asia costituisce la zona principale ed in Europa – verosimilmente in ragione del fatto che si tratta di un’area composta da diversi Paesi – si registra un elevato numero di casi di reshoring interno.

Conclusioni

Il reshoring è una strategia che negli anni scorsi è stata intrapresa da numerose imprese, determinando benefici sia per l’impresa stessa sia per il contesto economico in cui avviene la relocalizzazione. Nell’odierno contesto post pandemico, tale fenomeno, ancor più se incoraggiato da politiche legislative nazionali e comunitarie incentivanti e volte a semplificare il rimpatrio delle produzioni, potrà auspicabilmente favorire ed accelerare la ripresa economica.

Avv. Andrea Bernasconi e Avv. Edoardo Pollara Tinaglia

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