La mancanza di forma scritta nei contratti di investimento

La mancanza di forma scritta nei contratti di investimento
Avv. Daniele Franzini La nullità per difetto di forma scritta, contenuta nell’art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 58 del 1998, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore, con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 28314 pubblicata il 4 novembre 2019. La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi circa il contrasto riguardante la legittimità o meno della limitazione degli effetti e delle conseguenze giuridiche, derivanti dall’accertamento della nullità del contratto quadro, riguardo a specifici ordini di acquisto di titoli oggetto della domanda proposta dall’investitore. Il punto controverso, in particolare, riguardava l’estensione degli effetti della dichiarazione di nullità anche alle operazioni che non avevano formato oggetto della domanda proposta dal cliente. Nel caso sottoposto all’esame della Corte, la nullità degli ordini di acquisto contestati dal risparmiatore derivava dalla mancanza di forma scritta, ai sensi dell’art. 23 del D.Lgs. 58/1998 (T.U.F.), del contratto quadro stipulato con la banca e di alcuni ordini di acquisto rivelatisi infruttuosi. Come è noto, l’art. 23 T.U.F. prevede che “i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento (…) sono redatti per iscritto” e “nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”. Inoltre, al terzo comma, l’articolo aggiunge che “la nullità può essere fatta valere solo dal cliente (…)”. La Corte ha affrontato la questione alla luce del peculiare regime delle nullità di protezione, all’interno delle quali si colloca la nullità per difetto di forma del contratto quadro stabilita al sopra citato art. 23. L’obbligo della forma scritta previsto dal Legislatore ha carattere funzionale poiché in primis intende riequilibrare l’asimmetria informativa in favore del soggetto contrattualmente più debole e in secundis intende sottolineare l’obbligo della buona fede gravante anche sull’investitore e che impone a quest’ultimo di non abusare del diritto di far valere la nullità di protezione. Le Sezioni Unite hanno quindi affermato che la legittimità dell’uso selettivo delle nullità di protezione nei contratti di investimento deve essere valutata alla luce del principio di buona fede, al fine di evitare che l’esercizio dell’azione in sede giurisdizionale possa produrre effetti distorsivi rispetto alla ratio protettiva della nullità di cui all’art. 23 del T.U.F.. Inoltre, in tema di contratti di investimento, solo l’investitore può avvalersi della dichiarata invalidità del contratto quadro, sia sul piano sostanziale della legittimazione esclusiva che su quello sostanziale dell’operatività a suo esclusivo vantaggio. La legittimazione dell’intermediario finanziario è radicalmente esclusa, trattandosi di nullità che operano al fine di ricomporre un equilibrio formale tra le parti. Tuttavia, secondo la Corte “non può escludersi la configurabilità di un obbligo di lealtà dell’investitore in funzione di garanzia per l’intermediario che abbia correttamente assunto le informazioni necessarie a determinare il profilo soggettivo del cliente al fine di conformare gli investimenti alle sue caratteristiche, alle sue capacità economiche e alla sua propensione al rischio”.
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